mercoledì 19 novembre 2014

Il ritorno dei nove / Thanasis Valtinos

Valtinos, Thanasis
Il ritorno dei nove / Thanasis Valtinos ; traduzione di Paola Maria Minucci. - Milano : Crocetti, 20o2 (Aristea, 18). - 54 p. ; 21 cm. - Tit. orig.: H kathodos ton ennia.

Incipit
"Nel 1948, il giorno di San Demetrio, cademmo in un agguato. Era la prima volta che ci capitava. Tornavamo da Panaghià, avevamo bevuto e ballato, e se quelli che ci attaccarono non fossero stati dei buoni a nulla nessuno di noi si sarebbe salvato. Ci rendemmo conto che i tempi cominciavano a cambiare. Fu allora che Liaròs fu ferito alla gamba. Per tre mesi soffrì le pene dell'inferno. Lo curammo nei villaggi vicini con olio e foglie di barbabietola.
In gennaio entrò nel Peloponneso la nona divisione. Era chiaro che ci avrebbero incastrati e che anche il tempo era contro di noi. Restammo sul Taigeto fino a marzo. Poi gli altri mandarono i reparti di montagna e allora Zacharias si convinse e ci dette l'ordine di disperderci".

E' il racconto di una fuga di un gruppo di partigiani,  durante la guerra civile greca. Una lotta non solo contro i nemici, ma soprattutto contro le difficoltà dell'ambiente, la mancanza di acqua e di cibo, alla ricerca di posti sicuri in cui riposarsi. Una marcia, senza meta, se non quella del mare, visto come luogo mitico.
Non c'è, in questa avventura nessun riferimento storico, nessuna motivazione ideologica, un senso di ineluttabilità della lotta contro altri uomini e contro la natura, un senso di orgoglio nel dimostrare il proprio coraggio. La scrittura è molto rapida, con frasi brevi, dialoghi elementari e molto secchi.





mercoledì 12 novembre 2014

La sorella segreta / Fotini Zalikoglu



Zalikoglu, Fotini
La sorella segreta / Fotini Zalikoglu ; traduzione dal neogreco di Maurizio De Rosa. - Roma : e/o, c2014 (Dal Mondo. Grecia). - 109 p. ; 21 cm. - Tit. orig.: 8 ores kai 35 leptà.
 Incipit:
"L'atterraggio è previsto fra otto ore e trentacinque minuti. E poi Amalìa? Che cosa mai troverò laggiù? Un paese che nostra madre non ha avuto il coraggio di amare; eppure è proprio lì che sono cresciute Erasmìa e la prima Froso. Che cosa proverò a trovarmi da solo in quel paese sconosciuto? E perchè proprio adesso, dopo tanti anni, mi sono risolto a questo viaggio incomprensibile e pieno di lati oscuri, che si realizza nel momento peggiore? Sai Amalìa, ho paura. Sono le undici del mattino di domenica 20 gennaio 2013".


Mi aspettavo di più da questo libro. Parla di una Grecia vista dagli Stati Uniti: una storia familiare drammatica. inserita nella tragica storia dell'esodo dei greci dalla Turchia, della guerra civile dopo il 1945 e della necessità per molti di emigrare, alla ricerca di una vita più serena. Tuttavia, nel libro non viene percepita questa drammaticità, non viene trasmessa al lettore e le domande che il protagonista si fa all'inizio del lungo viaggio verso Atene restano, a mio avviso, senza risposta.
Del libro mi resta la bella canzone, il cui testo è riprodotto a pagina 107, di Manos Hatzadakis:

Amore mio ti ho cercato
nell'alba e sulla luna
e in alto tra le nuvole
ti ho cercato ed ero cieco
poi il tempo è cambiato, è caduta la pioggia
e la tua graziosa freschezza
amore mio, ti ho cercato
perchè eri cielo ...

Soffia lo scirocco, la tramontana soffia
le onde ti portan via
amore mio che mi hai lasciato
perchè eri cielo.

Osservatore balcani



mercoledì 5 novembre 2014

Tutti i racconti / Flannery O'Connor


O'Connor Flannery
Tutti i racconti / Flannery O'Connor ; a cura di  Marisa Caramella. - Milano : Bompiani, c1990 (Le finestre). - 2 v. ; 20 cm.

Il clima dei racconti è sempre cupo. Predomina l'infelicità e l'insoddisfazione, ma in ognuno c'è sempre qualcosa di misterioso che imprime un marchio ad ogni storia.
I più belli, del primo volume, sono: Un colpo di fortuna, La vita che salvi può essere la tua, Il cerchio di fuoco, Il negro artificiale. Ma il migliore è senz'altro Il profugo, per certi versi ancora attuale nel far emergere il rifiuto per lo straniero (in questo caso un profugo polacco).

"D'improvviso, alla signora Shortley venne il sospetto che il prete cercasse di persuadere la padrona a importare un'altra famiglia polacca. Con due famiglie straniere nella tenuta si sarebbe parlato quasi esclusivamente polacco! I negri sarebbero andati via [la presenza dei negri nelle fattorie, per i contadini bianchi è la garanzia di non essere all'ultimo posto] e sarebbero rimaste le due famiglie, contro lei e suo marito! La signora Shortley cominciò ad immaginare una guerra di parole, a vedere parole inglesi e parole polacche avanzare spavalde per aggredirsi: non frasi, soltanto parole, bla bla bla bla, scatenate e laceranti, avanzare spavalde e infine venire alle mani. Vide le parole polacche, sporche, onniscienti e non riformate, gettar fango sulle nitide parole inglesi, finchè tutto diventava sporco. Le vide ammicchiate in una stanza, tutte le parole morte e sporche, quelle degli altri e anche le sue. come i cadaveri nudi del cinegiornale" [riferimento ai cinegiornali che riportavano le immagini dei morti nei campi di sterminio].


Anche nel secondo volume ci sono racconti coinvolgenti, che descrivono un mondo triste. Prevale l'ambientazione campestre, più precisamente quella degli stati del sud degli Stati Uniti, mentre la città viene percepita come nemica, infida, pericolosa. La religione è quella in cui Dio appare crudele o, comunque, mai misericordioso. Personaggi spesso cattivi, poco affettivi. Gli inizi di ogni racconto sono stupendi ed entrano direttamente nella storia, con poche pennellate. Ad esempio:


"La finestra della camera da letto della signora May era bassa e dava a oriente, e il toro, argentato dalla luna, vi stava sotto a testa alta, quasi aspettando, come un dio paziente sceso a corteggiarla, di udire la donna muoversi nella stanza" (Greenleaf)


Qui i due protagonisti, la signora May e il toro, entrano in scena direttamente, in un'ambientazione notturna e campestre.


"La settimana prima. Mary Fortune e il vecchio avevano trascorso le mattinate a guardare la macchina che scavava la terra e la gettava nel mucchio. Si stava fabbricando in riva al lago nuovo, in un lotto venduto dal vecchio a un tale che voleva metter su un circolo di pesca. Nonno e nipote ci andavano ogni mattina verso le dieci e il vecchio parcheggiava la macchina, una Cadillac annosa e malconcia color more sul terrapieno che sovrastava il luogo dei lavori" (La veduta del bosco)


Molto bello Non si può essere più poveri che da morti, che poi diventerà la base per il romanzo Il cielo è dei violenti.

"Oltre all'espressione in folle, di quando era sola, la signora Freeman ne aveva altre due: "marcia avanti" e "marcia indietro" che usava in tutti i suoi rapporti col mondo" (Brava gente di campagna)

Forse il più bello Rivelazione:

"La sala d'aspetto del dottore, che era molto piccola, era quasi piena, quando entrarono i Turpin, e la signora Turpin, che era molto grossa, la fece sembrare ancora più piccola con la sua presenza. La signora si fermò, torreggiante, a un capo del tavolino con le riviste in mezzo al locale, dimostrazione vivente del fatto che era inadeguato e ridicolo. I suoi occhietti neri e vivaci soppesarono tutti i pazienti, mentre studiava la possibilità di sedersi" 

Wikipedia
Davide Rondoni
Stas Gawronski








giovedì 21 agosto 2014

Il cielo è dei violenti / Flannery O'Connor



O'Connor Flannery
Il cielo è dei violenti / Flannery O'Connor ; traduzione di Ida Omboni ; prefazione di Marisa Caramella. - Torino : Einaudi, 2008 (Letture Einaudi, 10). - 202 p. ; 20 cm. - Tit.orig.: The violent bear it away

Incipit:
Lo zio di Francis Marion Tarwater era morto solo da mezza giornata quando il ragazzo si ubriacò troppo per finire la fossa, e un negro di nome Buford Munson, che era venuto a riempire una brocca, dovette terminare di scavarla e trascinarci il corpo, che era ancora seduto alla tavola della prima colazione, per dargli una sepoltura da cristiani, con le insegne del Salvatore sopra la testa e abbastanza terra perché i cani non lo scavassero fuori. Budford era arrivato verso mezzogiorno e quando, al tramonto, se ne andò, il ragazzo, Tarwater, non era ancora tornato dalla distilleria".

Un libro duro, a volte difficile, ma cosa mi ha spinto a terminare la lettura? Il clima torbido, chiuso, claustrofobico che si respira dalla prima all'ultima pagina. Prevalgono i colori scuri e notturni e, anche nelle parti "soleggiate", domina l'ansia, la paura, la violenza.
Ci sono tre personaggi principali. Il prozio del ragazzo Tarwater, un "profeta" che vuole fare del nipote il suo erede, istruendolo e dandogli precise indicazioni per indirizzare la sua vita futura, il nipote Tarwater, un ragazzo che, da piccolo, è stato rapito dal prozio, cresciuto in una baracca in campagna, l'altro zio, il maestro Rayber, anch'egli educato per un certo periodo dal vecchio zio, dal quale, però, è riuscito a fuggire, ribellandosi, e che vive in città con il figlio anormale, Bishop.
Nella vicenda emerge una competizione violenta tra il prozio "profeta" e lo zio per impossessarsi dell'anina del giovane Tarwater. In entrambi i casi si manifesta una violenza che mira a condizionare la vita del ragazzo. Nel periodo in cui vive in campagna e, soprattutto, con la morte del prozio, sembra che il giovane rifiuti gli insegnamenti e il destino di "profeta". Infatti, si ribella con violenza, rifiutandosi di seppellire il vecchio, incendiando la baracca e incenerendo il corpo del prozio.
Ci sono qui dei passi molto belli, in cui il ragazzo si sdoppia in un alter ego con il quale dialoga e polemizza.
Il prozio rappresenta la parte irrazionale, religiosa, in contrasto con quella rappresentata dal maestro Rayber, lo zio di città, dal quale si rifugia dopo essere fuggito dalla campagna.
Ma anche Rayber esercita la sua violenza e vuole rieducare il nipote, cancellando l'influenza fondamentalista del prozio. Egli rappresenta la parte razionale e antireligiosa. Anch'egli fallirà e Tarwater resterà un ribelle, impossibile da rieducare. Tra questi opposti, il ragazzo non riuscirà, fino alla fine a trovare il suo equilibrio.
Ciò che colpisce è l'assenza di qualsiasi elemento affettivo tra i personaggi, sempre un po' "sopra le righe", vigili. ansiosi. Il Dio al quale si riferiscono appare come un Dio terribile, un Dio dell'antico testamento, violento e incomprensibile.
Un'ultima osservazione: mi ha colpito l'irrelevanza dei pochi personaggi femminili. Le donne (madri e mogli) sono considerate "puttane" dal prozio. La moglie del maestro, l'assistente sociale, ha una piccola parte, ma poi sparisce, abbandonando il marito e il figlio anormale, senza curarsene. L'unica donna forte è quella che, nell'ultimo capitolo, rimprovera il ragazzo per aver abbandonato il corpo del prozio, senza seppellirlo. E' l'unico momento in cui il ragazzo sembra vergognarsi e non sentirsi sicuro.
Una lettura interessante, che spinge a leggere ancora qualcosa di questa scrittice: in particolare, i racconti che la critica giudica le sue opere migliori.

Flannery O’Connor, maestra di scrittura
La parola come skandalon: Flannery O'Connor, "Il cielo è dei violenti"
L'angolo di Jane






Le montagne dei Paesi Bassi / Cees Nooteboom



Noteboom Cees
Le montagne dei Paesi Bassi / Cees Nooteboom ; introduzione di Enzo Siciliano. - Milano: Iperborea, c1996. - 149 p. ; 20 cm. - Tit. orig.: In Nederland.

Incipit:
"C'era una volta un tempo che, secondo alcuni, dura ancora. A quel tempo i Paesi Bassi erano molto più grandi di oggi. Altri dicono che non è vero e altri ancora sostengono che quel tempo è sì esustito, ma ormai non c'è più. Se sia così, non lo so. Quanto a me, posso affermare di aver visto con i miei occhi la bandiera olandese sventolare sui più alti passi d'Europa. Il Nord era anche allora dalle parti di Dakkum, di Rooderschool e di Pieterburen, il confine meridionale si trovava però a molti giorni di viaggio - anche in macchina - da Amsterdam e dall'Aia."

Una fiaba? Certo se inizia con "c'era una volta", se la geografia dei luoghi è incerta, se i personaggi sono molto delineati, non ci sono dubbi. E' la storia di Kai e di Lucia, due bellissimi giovani che si esibiscono come prestigiatori e che sono costretti ad abbandonare i Paesi Bassi del nord per la regione montagnosa e piena di pericoli del sud.
Fin qui non ci sarebbe nulla di speciale, una storia, un'avventura che prevede difficoltà e ostacoli, con il necessario lieto fine della fiaba.
Ma il racconto è fatto in prima persona da uno scrittore-personaggio, Alfonso Tiburon de Mendoza, ispettore delle strade di Saragoza, al quale piace giocare con la storia, fare rapide ed efficace incursioni con commenti e notazioni linguistiche molto stimolanti. Ad esempio (p. 50):
"Camino, carretera, weg, via, strada. Mi ha sempre dato da pensare il fatto che in nederlandese la parola weg, via, significhi anche "assente". El camino, in spagnolo, è semplicemente la strada, ma anche il viaggio. Ora il viaggio comporta per ddefinizione l'assenza dal luogo da cui si è partiti e tuttavia manca in questa aprola la brutale immediatezza che c'è in weg".
Ci sono dei capitoletti in cui lo scrittore inteviene e, addirittura, polemizza con i personaggi: ad esempio, il cap. 22, in cui critica pesantemente le religioni, le sette, le utopie, dopo che, nel cap. precedente, Lucia era stata sedotta da un guru biondo e bellissimo, capo di una setta.

"Solo allora cadde davvero il silenzio, quel silenzio totale, assoluto, che nasce dall'assenza di qualsiasi altro essere umano e che suscita in noi l'idea dlla nostra propria assenza tanto da farci dubitare della realtà del nostro esistere"
Sensazione che si prova talvolta in qualche landa solitaria e che ho provato molte volte viaggiando in Grecia.


VOLTI – Cees Nooteboom




giovedì 31 luglio 2014

La bellezza e l'orrore / Peter Englund



Non si tratta di un romanzo tradizionale, ma di un libro di storia costruito sulle testimonianze vere di 19 persone coinvolte nella I Guerra mondiale, appartenenti a diverse nazionalità (tedeschi, austriaci, ungheresi, russi, danesi, francesi, inglesi, australiani, neozelandesi, sudamericani, americani, italiani) e combattenti su vari fronti: da quello francese a quello russo, in medio oriente, in Africa, in Italia, in Grecia e in Turchia. E' un libro coinvolgente che offre un'immagine particolareggiata delle esperienze, dei sentimenti, delle tragedie vissute durante il conflitto. Inoltre, rende con evidenza il fatto, spesso dimenticato, che fu una guerra veramente mondiale, combattuta su diversi fronti, anche se tendiamo a dimenticarlo e a focalizzarci sui fatti che interessano solo i nostri Paesi.
La memoria vissuta, le storie individuali qui raccontate offrono una visione più "vera" di molte fonti ufficiali, come i giornali e i bollettini di guerra, viziate dalla propaganda e dalla censura.

ENGLUND PETER
La bellezza e l'orrore : la Grande Guerra narrata in diciannove destini / Peter Englund ; traduzione di Katia De Marco e Laura Cangemi. - Torino: Einaudi, c2012. - 586 p. : 20 cm.

Approfondimenti:
Haecceit
Liber docet


Amore / Peter Nadas




Incipit
"Dammi un cuscino". Si alza. La porta a vetri è aperta nell'anticamera. Esce. Chiudo gli occhi. Oltre la stanza, fuori, si odono uno, due rintocchi dell'orologio del campanile. Lo immagino nello spazio. La via, la chiesa incastrata fra le abitazioni sull'altro lato. Il campanile svetta soptra i tetti nel cielo rischiarato dal riverbero dei neon. La casa di fronte alla chiesa, all'ultimo piano della quale sono salito. La tromba delle scale. L'appartamento all'utlimo piano. La camera, il letto sul quale giaccio."

Questo libro è un vero e proprio esercizio letterario di sperimentazione, con una prosa complessa e ipnotica. Il protagonista, insieme alla compagna, fuma dell'erba e descrive le proprie sensazioni, il distacco dalla realtà, la lotta tra ragione e immaginazione, la perdita della coscienza spazio-temporale ("Il tempo si è fermato"), le pulsioni suuicide. Si intitola "Amore", ma, in realtà, la relazione con la donna mi sembra molto secondaria. Al centro c'è lui, con le sue contorte allucinazioni, mentre lei assume una funzione di "cura". Forse è lei che esprime più concretamente l'amore.
Insomma, un testo che non mi ha convinto, anche se la scrittura è interessante, ma, forse è questo eccesso di "letterarietà" che non mi è pioaciuto. mentre in "Libro di memorie", pur nei lunghi flussi di coscienza c'erano storie e personaggi, qui prevale la pura sperimentazione stilistica.
Molto bella e stimolante la nota della traduttrice (necessaria!), che offre un contributo fondamentale per inserire questo testo nella storia letteraria di Nadas.

NADAS PETER
Amore / Péter Nadas ; traduzione di Andrea Rényi. - Rovereto : Zandonai, c2012 (I piccoli fuochi). - 113 p.

Approfondimenti:
Zandonai
Wikipedia Nadas
Cabaret Bisanzio



Destinatario sconosciuto / Kressmann Taylor



E' una corrispondenza tra un ebreo americano, Max, e il suo socio tedesco, che ha lasciato gli Stati Uniti ed è tornato in Germania, negli anni della presa del potere di Hitler.
L'amicizia si deteriora allorchè Martin (il tedesco) diventa un nazista e difende la persecuzione antiebraica di Hitler. E' interessante la lettera del 18 agosto 1933, in cui Martin usa le parole "azione", "energia", in contrapposizione al vuoto parlare di chi si proclama liberale. Ma sarà proprio con le parole delle ultime lettere dell'ebreo Max che si attuerà la punizione di Martin, per questa amicizia tradita, che sarà resa evidente dalla burocratica etichetta "Destinatario sconosciuto"

TAYLOR KRESSMANN
Destinatariio sconosciuto / Kressmann Taylor ; traduzione di Ada Arduini. - BUR: Milano, 2014 (14. ed.). - 74 p.

Approfondimenti:
Wikipedia
Passione lettura
Digilander




La banalità del bene / Enrico Deaglio






Bellissimo libro su una persona che sembra uscita da un romanzo di avventure e che, invece, è stato un vero eroe italiano. Leggendolo si comprende molto dell'antisemitismo ungherese, che è rimasto vivo in questi anni, nonostante lo sterminio di migliaia di ebrei ungheresi nelle fasi finali della II guerra mondiale.
"Tra il 1941 e il 1945 degli 825.000 ebrei della "Grande Ungheria", morirono 565.000 e sopravvissero 260.000"

DEAGLIO ENRICO
La banalità del bene : storia di Giorgio Perlasca / Enrico Deaglio. - Milano : Feltrinelli, 2012 (17 ed.). - 135 p.

Per approfondire
Linkiesta
Recensione
Giorgio Perlasca, Wikipedia



domenica 27 luglio 2014

Vite che non sono la mia / Emanuel Carrere





Incipit
"La notte prima dell'onda ricordo che io ed Helene abbiamo parlato di separarci. Non era complicato: non vivevamo sotto lo stesso letto, non avevamo figli insieme, potevamo addirittura pensare di rimanere amici; eppure era triste. La memoria andrà a un'altra notte, poco dopo il nostro incontro, interamente trascorsa a ripeterci che ci eravamo trovati, che avevamo vissuto insieme per il resto dei nostri giorni, che saremo invecchiati insieme, e perfino che avremmo avuto una bambina. In seguito l'abbiamo avuta, nel momento in cui scrivo speriamo ancora di invecchiare insieme e ci piace pensare che fin dall'inizio avevamo capito tutto."
É il secondo libro di Carrère che ho letto, dopo Limonov,. Ha una scrittura scorrevole e coinvolgente e riesce a farci entrare nella vita degli altri con partecipazione e curiosità. In questo libro i personaggi vivono tragedie collettive (lo tsunami) e individuali (il cancro), trasmettendo forza e coraggio. C'é sentimento, emozione, ma senza sdolcinatezza, anche nei momenti più bui, nei quali il dramma é più intenso, come nelle due morti al centro del racconto: quella di Juliette, bambina travolta dallo tsunami in Sri Lanka, che lascia impietriti i genitori superstiti e quella dell'altra Juliette, cognata dello scrittore, sorella di Helene, che affronta una dura malattia e muore, lasciando il marito Patrice e tre piccole bambine.
Il libro raccoglie le testimonianze di tutti coloro che sono stati vicini a Juliette, attraverso le quali entriamo in altre vite: quella di Patrice, il marito, che vive il dolore come un vecchio saggio, guardando al presente e, soprattutto, quella di Etienne, il collega giudice di Juliette, che con lei condivide le battaglie giuridiche contro le finanziarie, che con i prestiti facili rovinano le vite dei poveracci.


CARRERE EMMANUEL
Vite che non sono la mia / Emmanuel Carrère; traduzione di Maurizia Balmelli. - Torino: Einaudi, c2013 (Super ET).- 236 p.

Approfondimenti
Minima moralia (una recensione negativa) 
Allegoria
WUZ


lunedì 10 febbraio 2014

Un'estate in Grecia / Giuseppe Ciulla

CIULLA GIUSEPPE
Un'estate in Grecia / Giuseppe Ciulla. - Milano : Chiarelettere, 2013 (Reverse). - 151 p.


"Canarino è un ricettacolo di artisti e bohémien. Li incontri a qualunque ora del giorno e della notte. Di solito mi mimetizzo sotto i quadri street art alle pareti. Oggi è giorno di vigilia: si aspettano le elezioni, ma anche l’epica partita di calcio tra Grecia e Germania; si attende la rivincita ellenica. Si aspetta sempre, qui in Grecia. E si canta. Quando Janna, la ragazza al bancone del bar, libera le note di un vinile anni Cinquanta, la gente smette di mangiare e attacca a muoversi seguendo con le braccia alzate il ritmo lento della melodia. Nel locale si diffonde la voce seducente di Giorgos Zampetas, il cantore dei sobborghi di Atene, dei suoi operai poveri, «il nostro Pasolini» dice Gina, giornalista disoccupata che ora porta in giro i turisti tra le rovine ancora vive della sua città. «Canta la sofferenza del lavoro e della vita.» E tra i ragazzi seduti al tavolo intorno a me comincia un’immedesimazione silenziosa. «Queste canzoni sono state scritte dopo la Seconda guerra mondiale per un popolo che soffriva ancora. Sono tornate attuali.» La nenia ha la forza aggregante della musica popolare. Ora cantano tutti. Occhi chiusi. Nell’aria profumo di melanzane fritte e cipolla. La luce delle tre del pomeriggio entra di taglio da una finestra. La polvere di Atene mulina dalle fessure sotto la porta. Mi sento parte di una sofferenza collettiva e struggente: oggi sono greco anch’io"



Un viaggio, come Tefteri, nella Grecia della crisi: Atene, la Grecia continentale e una parte del Peloponneso. La tesi fondamentale del libro sottolinea il legame della Grecia più con i Balcani e con l'oriente ex bizantino che con l'Europa. Il rapporto storico con Costantinopoli e il ruolo della chiesa ortodossa pesano ancora e molto e sono presenti nella memoria, nonostante lo scorrere del tempo. In particolare, il ricordo della Megali Katastrofì, l'esodo di migliaia di greci che dalla Turchia, nel 1923, arrivarono in Grecia, spesso senza nemmeno conoscere la lingua, in una Patria estranea e talvolta ostile.

"La Grecia è un mosaico. Ha accolto i figli della diaspora che si erano sparpagliati durante l'impero bizantino e che fuggivano sempre più a nord con la dominazione ottomana. Ogni famiglia è una tessera, ed è sempre stata ortodossa, anche a migliaia di chilometri di distanza dall'Egeo, anche se non ha mai insegnato i greco ai propri figli. Se le metti insieme, queste tessere compongono l'aquila bicipite della Chiesa ortodossa, l tmone durante i giorni neri della fuga, la grande madre che rimpiange Bisanzio. E' come se l'impero fosse sopravvissuto sotto la cenere di secoli di dominazione ottomana, nella coscienza di ogni greco fuori dalla patria. La Grecia è un popolo prima di essere una nazione"

Links:
Presentazione youtube
WUZ



Tefteri / Vinicio Capossela

CAPOSSELA, VINICIO
Tefteri : il libro dei conti in sospeso / Vinicio Capossela. - Milano : Il Saggiatore, 2013 (Le Silerchie, 12). - 154 p.

Incipit: " «Crisi» etimologicamente deriva dal greco kríno, separare, cernere, dividere.Crisi: un concetto adatto al rebetiko, che è musica nata da una separazione, e anche alla Grecia, da cui l’Europa si sta separando, nel disprezzo che sta alla base di ogni rifiuto.
Di Grecia si sente molto parlare in termini che ricordano la tragedia, che proprio qui è stata inventata. Da tragedia la parolatragudi, canzone, e nella sua radice la parola tragos, capro.  Tragodia, canto del capro. Capro espiatorio dei peccati dell’Europa è il paese che ne è la madre culturale. Europa, figlia di un re di Creta sedotta da Zeus. Europa, «grandi occhi», terra di ponente, disposta al tramonto.
Tutto quello che viene dalla Grecia, fin dall’antichità, ha un carattere universale. Ci parla dell’uomo, dell’anthropos. Ci dice dell’uomo, del destino, di cosa sta succedendo all’uomo d’Occidente in questo momento di «crisi», di scelta.
Andiamoci, con un piccolo strumento in mano, come un tirso, accompagnati da una musica nata da una catastrofe. Katastrofìs, così ancora oggi i greci chiamano la 12 guerra greco-turca del 1922, la distruzione di Smirne e l’esodo dei greci di Asia Minore. Il milione e mezzo di profughi che, dopo il trattato di Losanna, in quegli anni si riversarono, senza possedere più nulla, in una madrepatria per niente felice di accoglierli. Con loro portarono una musica e usanze d’altrove, si ammassarono in quartieri suburbani che cambiarono la fisionomia sociale della «Parigi del Mediterraneo orientale», come Atene veniva definita negli anni venti, e come la voleva la politica di occidentalizzazione culturale del giovane stato greco. La musica rebetika, a differenza della dimotikì – musica da suonarsi all'aperto, in grandi feste, madre della canzone popolare –, è musica urbana. Musica che si consuma in luoghi chiusi e che predilige lo struggimento individuale. Mentre la dimotikì si identifica con la regione d’origine e appartiene a chi si riconosce nei suoi canti e nelle sue danze, la rebetika appartiene a tutti. È apolide. È musica di sradicati di ogni regione. Si diffonde per il paese, incurante del luogo, dello strato sociale e del livello culturale di chi la pratica. Nata da una divisione, unisce.


E' un viaggio nella Grecia della crisi e nella sua musica ribelle, il rebetiko (da Atene a Salonicco, a Creta, a Ikaria). Bisogna leggere questo libro con un Ipad o un PC davanti, che permetta di ricercare i nomi dei musicisti e di ascoltare le loro canzoni (tragudia). Sopratutto per leggere questo libro bisogna amare la Grecia e la sua cultura, che non è solo quella classica, ma anche quella più recente e popolare, nata nelle taverne e nei porti, da suonatori di bouzuki, venuti dalla Turchia dopo la Megali Katastrofì degli anni '20, quando migliaia di Greci furono espulsi dalle città turche e arrivarono senza beni nelle città greche. Un popolo di sradicati, malvisti dai Greci della madre patria che li vedevano come degli estranei. Le loro canzoni riflettevano questo senso di emarginazione e parlavano di amori finiti male, di malavita e di droghe. Questa immersione nel "nero" (o nel blu) della depressione, provoca una specie di vaccinazione, che aiuta ad accettare la vita dura e difficile.Come il blues, a cui viene paragonato, il rebetiko mostra una sua forza e un suo carattere ribelle, che lenisce e dà sollievo.
I grandi rebetici: Iannis Papaioannu, Manlis Papos, Manolis Chiotis, Dali Keti, Vassili Tsitsanis, Markos Vamvarakis, Elios Petropoulos, Evghenios Vulgaris.


Links:
Rebetiko wikipedia en
Rebetiko wikipedia it
Rebetika.it




L'incantatore / Vladimir Nabokov


NABOKOV, VLADIMIR
L'incantatore / Vladimir Nabokov ; a cura di Dmitri Nabokov. - Milano : Adelphi, c2011 (Biblioteca Adelphi, 576). - 116 p.

Incipit: "Come posso farmene una ragione, pensava, quando gli capitava di pensare. "Questa non è lascivia. La depravazione volgare è onnivora; quella raffinata presuppone l'appagamento. Che importa se ho avuto cinque o sei relazioni sentimentali - come si può paragonare la loro insulsa casualità con la mia specialissima fiamma? E allora? Non è certo come la matematica della lussuria orientale, dove la tenerezza della preda è inversamente proporzionale alla sua età. Oh no, per me non si tratta dello stadio di una generica scala, ma di qualcosa di totalmente estraneo al generico, di un valore non soltanto più preziosa o, ma inestimabile. Che cos'è dunque?"

La prosa di Nabokov è sempre di altissimo livello, come si vede anche da questo incipit in cui l'incantatore si arrampica sugli specchi per cercare di giustificare la sua insana passione per una bambina, che lo spinge a sposare la madre ammalata per poter stare vicino alla bambina.
L'incantatore è il precursore di Humbert, il protagonista di Lolita (uno dei più bei libri che abbia letto), ma qui manca la sottile sensualità di Lolita e anche il rapporto con la madre è delineato in modo meno coinvolgente. Lo sguardo è sempre quello del depravato, che si denuda davanti a noi, senza pudori - ed è questo l'aspetto più interessante di questo racconto. Ma Lolita è molto di più.

Links:
Adelphi
Wikipedia (en)
Il Recensore.com



venerdì 3 gennaio 2014

Libro di memorie di Péter Nadas

Baldini Castoldi Dalai editore, 2012
Titolo originale: Emlékiratok könyve
Traduzione di Laura Sgarioto con la collaborazione di Alexandra Foresto, Vera Gheno e Krisztina Sándor

Incipit: "Il mio ultimo alloggio berlinese è stato presso i signori Kuhnert, in periferia, a Schoneweide, al primo piano di una villa ricoperta di vite americana. Le foglie della vite americana si erano ormai tinte di rosso, gli uccelli venivano a beccarne i frutti neri, era autunno. Non c'è da stupirsi se mi torna in mente, da allora sono trascorsi tre anni, tre autunni, e non andrò mai più a Berlino, non saprei da chi andare, non avrei motivo di andarci, anche per questo motivo scrivo che quello è stato il mio ultimo alloggio a Berlino, lo so.
Ho voluto io che fosse l'ultimo, e anche indipendentemente dalla mia volontà le cose si sono messe per questo verso, o è andata così, poco importa; e adesso, mentre cerco di farmi passare un fastidioso raffreddore autunnale - e perciò non ho la testa per nient'altro, ma anche con il naso pieno di muco il pensiero vaga su cose essenziali - mi consolo rievocando gli autunni berlinesi."

Questo è un libro che bisogna ri-leggere. La prima volta mi ha lasciato un po' sconcertato, con sensazioni contraddittorie. Da una parte, mi imbattevo in pagine stupende, brani che mi lasciavano senza fiato, frasi che dovevo leggere ad alta voce. Non so se è capitato a qualcuno: il testo è talmente bello e coinvolgente che si sente la necessità di rivolgersi a chi è vicino per dirgli: "Senti questa descrizione, questo periodo ..." e via con la lettura!
Dall'altra parte, la prima lettura mi ha lasciato alcune perplessità: periodi lunghissimi, con poca punteggiatura, stream of consciousness, mancanza di linearità nelle vicende, alcuni passi complessi mi hanno lasciato un po' stordito, per cui, alla fine, non capivo se era un libro meraviglioso o un libro meraviglioso, ma ... (il ma ... era tutto quello che non mi convinceva!).
Per questi motivi ho deciso di riaffrontarlo, anche perché sono un lettore che ama le sfide, i libri difficili, i "mattoni" di 500/600 pagine.
Ho ricominciato, ma questa volta mi sono armato di una matita. Nel corso della lettura, segnavo con dei + le pagine, sottolineavo le frasi più belle, cerchiavo le parole chiave, quelle emblematiche che danno il tono al racconto e alle descrizioni. Ho provato a raccordare le vicende ed i personaggi principali per non perdermi nelle loro storie.
Alla fine, quando ho riguardato i segni sulle pagine, ho visto che erano piene di +, spesso di ++ e anche di qualche +++. Insomma la meravigliosa capacità descrittiva e di narrazione ha stravinto alla seconda lettura, ridimensionando i "ma ...". Il libro è una vera matrioska, fatta di ricordi che si annidano l'uno nell'altro. In ricordo ne richiama un altro, la narrazione si spezza e percorre un sentiero diverso, poi emerge un altro ricordo che si insinua, dopo qualche pagina riaffiora il filo principale, che ancora si spezza. E' come un albero: per un po' seguiamo il tronco, ma poi siamo attratti da un ramo, poi da un altro più piccolo e così via. E' questa la complessità e la difficoltà di questo testo, ma da questo deriva anche il suo fascino, perché è proprio così che lavora la nostra mente, passando da un pensiero ad un altro, distraendosi per un dettaglio, perdendo spesso la strada principale per seguire lunghe e, a volte, labirintiche circonvoluzioni.
La storia - ma questa parola è approssimativa per un libro come questo - raccoglie, in realtà due principali filoni di memoria, riferiti ad epoche e personaggi diversi:
- memorie di Thomas, critico teatrale ungherese, nel suo soggiorno a Berlino (1)
- memorie di Thoenissen, scrittore tedesco di fine '800, ambientate prevalentemente in una località balneare nel nord della Germania (2)

All'interno delle memorie del primo protagonista (1), si intrecciano i ricordi della sua infanzia ungherese (1b)
Infine, nel penultimo capitolo sono presentate le memorie di Kriszian (3), amico di infanzia di Thomas, che rilegge, dal suo punto di vista il racconto dell'amico.

In sintesi i capitoli relativi a 1 sono:
- La bellezza della mia anomalia
- Arriva un telegramma
- Perdere e riprendere coscienza
- La stanza di Melchior nel sottotetto
- Descrizione di uno spettacolo teatrale
- Nel quale racconta a Thea la confessione di Melchior
- Fuga
In questi capitoli emergono altri personaggi rilevanti: Thea e Melchior, che con il protagonista compongono un triangolo amoroso e sessuale, denso di ambiguità. L'ambientazione è Berlinese, più esattamente a Berlino Est, con molti riferimenti al teatro (Thea è un'attrice). I passi "meravigliosi" sono: la descrizione dei coniugi Kuhner, la suggeritrice del teatro e suo marito (pp. 66-67), la perdita di coscienza in seguito alla caduta durante la passeggiata notturna sulla diga (p. 111), gli inganni della memoria (p. 218), il ritratto di Thea (p.222), la stanza di Melchior nel sottotetto (p.230), la visibilità dell'attrice famosa (p. 427), il contrasto tra esterno e interno negli edifici berlinesi (p. 453), la storia di Melchior con il maestro di violino (p. 594 e segg.)

I capitoli relativi a 2 sono:
- La nostra passeggiata in un pomeriggio di tanto tempo fa
- Dio ci tiene nel palmo di una mano
- Il seguito della nostra passeggiata nel pomeriggio
- Su un antico dipinto murale
- Table d'hote
- Le notti dei nostri piaceri segreti
In questi capitoli ci sono i ricordi delle passseggiate infantili con i genitori in una località tedesca sul mare del nord (Heiligendamm), la descrizione del padre e della madre ed i loro rapporti contrastati.
Tra i passi da segnalare: la descrizione dei genitori (pp. 40 e segg.). Troviamo qui anche il personaggio di Helene, la bella fidanzata dello scrittore, con la quale egli ha un rapporto ambiguo.  Altri personaggi interessanti, il consigliere Frick, amico del padre e odiato dalla madre, e la signorina Wohlgast, l'amante del padre. Bellissimo il racconto dell'incontro con la signorina alla stazione della cittadina termale dove la famiglia di 2 trascorre le vacanza (pp 134 e segg.). Stupendo è poi tutto il capitolo Table d'hote che fa emergere ambigui rapporti sessuali e anche un delitto all'interno del lussuoso albergo termale. Questi capitoli che hanno per protagonista lo scrittore tedesco, con la descrizione della vita nella cittadina termale e nell'albergo, ricordano l'ambientazione della Montagna magica.

La parte che più mi ha affascinato e che metterei in testa a tutte è quella relativa all'infanzia e all'adolescenza di 1 a Budapest:
- Il sole splendeva languendo
- Pian piano è tornato il dolore
- Ragazze
- L'erba aveva ricoperto le tracce del fuoco
- L'anno dei funerali
In questa parte emerge il tema dell'adolescenza nei rapporti confusi e difficili nella famiglia e tra ragazzi e ragazze. C'è l'ambiguo rapporto del protagonista con il compagno Krisziàn, che ricorda l'innamoramento di Hans, il protagonista della Montagna magica, per il compagno di scuola Hippie. La vita famigliare difficile, per la malattia della madre, l'anormalità della sorella più piccola, il rapporto poco sereno tra il padre, funzionario comunista, e il resto della famiglia. Storie non chiare, nelle quali si nascondono tradimenti e segreti.
Nel capitolo Ragazze, il centro è l'adolescenza, con il primo innamoramento (Livia) da parte del protagonista, durante la cerimonia per i funerali di Stalin, le lotte ed i contrasti con gli altri ragazzi (Prem, Kalman), le prove di coraggio, la scoperta della sessualità (il corpo nudo del padre), i giochi amorosi. Le ragazze (qui mi vengono in mente le proustiane "fanciulle in fiore") sono Hedi (la più bella), Maja (la complice) e Livia (la più semplice). Interessante è anche il personaggio di Szidonia, la serva che gioca a provocare gli uomini (vedi l'episodio del bigliettaio, pp. 279 e segg.).
Gli intrecci sono complessi: Kalman, il figlio dei contadini, ama Maja, la quale gioca con lui e con il giovane protagonista, che sembra innamorato di Livia, ma è attratto anche da Kriszian. E' l'età dell'incertezza in cui tutti, a fatica, devono trovare la loro strada.
Molto coinvolgente è l'episodio dell'attacco alla tenda di Kriszian e Prem, da parte del protagonista e di Kalman. Qui il riferimento è a I ragazzi della via Paal: si tratta di una vera battaglia tra giovani che fanno le prime esperienze di vittoria e di sconfitta. L'esito tragico della famiglia del protagonista è raccontato nelle pagine finali del capitolo "l'erba aveva ricoperto le tracce del fuoco", dove oltre al padre, alla madre, al suo amante, risaltano le figure del nonno e della nonna.
I racconti sull'adolescenza si concludono con il capitolo "L'anno dei funerali", nel quale si ricordano le morti della madre e di Kalman (colpito da una pallottola nell'insurrezione del 1956) e l'addio di Hedi che lascia l'Ungheria.
E' la triste fine dell'adolescenza e i ricordi si intrecciano con i racconti che il protagonista fa a Melchior a Berlino. Interessante è il racconto dell'insurrezione di Budapest, con la descrizione della folla che si muove entusiasta nelle vie della città.

Infine nel capitolo "E' finita" è Kriszian che corregge il racconto e le memorie di 1. Tutto è rimesso in discussione ed è visto da una diversa prospettiva, dimostrando come la memoria sia sempre memoria soggettiva e incerta. Molto bella è l'ambientazione in un piccolo villaggio ungherese, dove Thomas, distrutto psicologicamente viene ospitato dall'amico nella vecchia casa delle zie, che lo adottano.

Mi rendo conto che è quasi impossibile schematizzare una trama (anche se un maggior sforzo redazionale sarebbe stato necessario da chi ha curato la pubblicazione, per facilitare la lettura). L'importante è leggerlo e rileggerlo, non ci sono scorciatoie per un libro come questo.

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