giovedì 1 dicembre 2011

La montagna magica / Thomas Mann


Il fascino di questo romanzo non sta nell'intreccio, nella trama che è molto semplice e riassumibile in poche righe.
Il protagonista Hans Castcorp,  proveniente da una ricchissima famiglia di Amburgo, rimasto orfano in giovane età, dopo la morte del nonno trascorre la sua giovinezza presso il prozio Tienappel. Prima di prendere servizio come ingegnere navale, su suggerimento del medico,  va a trovare il cugino Joachim, ricoverato nel sanatorio di Berghof a Davos.
Dovrebbe restare per tre settimane, ma poi con sua somma gioia, a causa di una febbre, viene ricoverato a tempo indefinito. Nel sanatorio si innamora di una donna russa, Clawdia Cauchat, nonostante la consideri sciatta e inferiore a lui. In una notte di carnevale, entra una specie di condizione sunnambolica e manifesta i suoi sentimenti, parlando con lei francese.
Subito dopo Clawdia viene temporaneamente dimessa dal sanatorio per un periodo, il cugino mette in atto una dimissione “selvaggia” (contro il parere dei medici), per realizzare il suo sogno di carriera militare- Hans resta da solo e si adatta sempre di più alla vita del sanatorio.
Ci sarà, poi, il ritorno definitivo del cugino ammalato, la sua triste e coraggiosa morte e, successivamente, tornerà Clawdia in compagnia di uno strano personaggio, l’olandese Mynheer Peeperkorn, che Hans ammira e di cui diventa amico. Le vicende si intrecciano con i densi dialoghi, vere e proprie battaglie intellettuali tra Settembrini (l’italiano che si propone fin dall'inizio come pedagogo di Hans), Naptha, un gesuita ammalato che vive fuori dal sanatorio e che avrà come vicino settembrini, quando questi si dimetterà per andare a vivere a Davos.
All'arrivo dell'olandese gli scontri intellettuali avverranno alla sua presenza, ma sempre più appariranno vuoti e inutili. Alla fine ci sarà il suicidio di Peeperkorn e, successivamente, il drammatico duello tra Settembrini e Naptha, con il suicidio di quest'ultimo. L'ultimo capitolo vede Hans nella melma delle trincee della guerra ed emergerà che tutto quanto è stato raccontato, forse, non era altro che i sogno di Hans.
Il fascino sta nella capacità descrittiva dei personaggi, nei rimandi e negli echi delle parole, nell'emergere, come in una sinfonia, di temi che si nascondono qua è là e poi ritornano con forza ed evidenza provocando nel lettore una sensazione di deja vu
Del resto, c'è un aspetto onirico molto sviluppato e lo stesso protagonista sembra, a volte, un eterno sonnambulo che subisce la realtà fin da giovane: si lascia vivere. E’, nella splendida definizione di Settembrini “un riottoso figlio della vita”. Ci sono molti temi importanti che si intrecciano nella narrazione e,soprattutto, nei dialoghi/scontri tra i principali protagonisti: il tema del tempo, la politica l'erotismo, la musica, la malattia e la morte sono i principali.
Infine, i personaggi si possano raggruppare alcune specifiche tipologie:
-     il cerchio legato strettamente al protagonista Hans Castcorp: il nonno, il prozio, i parenti, Hippie (il compagno di scuola) e, soprattutto, il cugino Joachim;
-    Il gruppo dei dipendenti del Berghof: i dottori, gli infermieri, le suore, gli inservienti, i camerieri, ecc.
-    Il foltissimo gruppo dei ricoverati;
-    Il piccolo gruppo di chi vive all’esterno del Berghof

venerdì 12 agosto 2011

Storia d’Italia: Il periodo della grande ebetudine


Nel corso degli ultimi anni del secolo XX e nei primi del XXI, più precisamente dal 1993 al primo decennio del nuovo secolo, la storia italiana fu caratterizzata dall’emergere di un fenomeno profondo e diffuso di credulità di massa. E’ questo il periodo della “grande ebetudine”, nel corso del quale una gran parte di italiani si lasciarono convincere da un ricco imbonitore (SB) sulla possibilità di realizzare il regno di Bengodi, in particolare di ridurre le tasse per tutti, di costruire in poco tempo moderne infrastrutture, di garantire a tutti una vita felice.

Gran parte della responsabilità per la diffusione dell’ebetudine a livello di massa va addebitata al ruolo della televisione, che, in quegli anni, diffuse immagini falsate, distorte ed edulcorate della realtà, ma ciò fu possibile soprattutto per la grande facilità con cui gli “ebeti” si lasciarono convincere.

Fu un periodo di addormentamento e di ottundimento generale: qualsiasi cosa succedeva, qualsiasi grave comportamento, qualsiasi incredibile volgarità veniva accettata e giustificata, con scarse reazioni. Gli “ebeti” si erano lasciati facilmente convincere che esistessero ancora i comunisti cattivi, che ci fossero le cosiddette toghe rosse, che i giornali stranieri fossero manovrati da lobbies comuniste e che una prostituta minorenne fosse la nipote di Mubarak.

In questo periodo, anche l’opposizione fu protagonista di fenomeni di ebetudine: cercò talvolta di adattarsi al clima prevalente, propose penosi compromessi oppure si divise in piccoli partitini, quando fu per un breve periodo al governo, che si danneggiarono l’un l’altro e non permisero una risposta efficace ai problemi del paese.

Il fenomeno dell’ebetudine italiana, del resto, non era nuovo: nel ventennio fascista milioni di italiani credettero alle mirabolanti mete offerte da un altro grande e tragico imbonitore e, in nome della romanità, dei valori nazionali e di simili mitologie, si lanciarono nella tragica avventura della II guerra mondiale. Solo la pesante sconfitta e la reazione di una parte di italiani che valorosamente si batterono per la libertà e la democrazia portarono ad un risveglio, che si rivelò, tuttavia, di non lunga durata.

Considerando che, nell’arco di circa un secolo, per ben due volte gli italiani sono ricaduti nella stessa situazione di ebetudine, alcuni storici sono arrivati alla triste conclusione che non vi sia rimedio e che la credulità, nonostante il mito degli “italiani furbi”, sia una caratteristica antropologica e caratteriale dell’italiano.

Altri storici, invece, sono meno pessimisti e pensano che, dopo questi due vaccini (il fascismo e il berlusconismo), gli italiani possano riprendere un cammino nuovo, che consenta loro di creare un paese in cui prevalgano, finalmente, i valori dell’onestà, della giustizia e del merito.

domenica 31 luglio 2011

L'isola dei gelsomini / KARISTANI IOANNA



Incipit:
"Forse era per le esalazioni - con l'umidità il grano marcisce e durante lo stivamento si fanno sciocchezze - o forse per la salamoia, a Savas Saltaferro venne il bruciore di stomaco, ma no gli andava di lasciare solo Niceforo nella stiva, costrinse il giovane Filiocco e Stelios, entrambi con spalle e bicipiti forti, prendetelo che lo mettiamo a prua, questione di dieci minuti.
Con la sigaretta tra le dita, avvolto nell'incerata per l'umidità, vegliò la salma per tutta la notte.
Solcavano l'oceano, l'Atlantico neanche un sussurro. Gli lanciava le cicche, fa' un tiro anche tu, insaziabile divoratore di uomini, era stato impossibile toccare la tera, da Caripiso a Paramaribo tre giorni e tre notti di navigazione, e Niceforo non ce l'aveva fatta per una specie di broncopolmonite."

Inizia con una morte in mare questo libro dove i morti in mare sono tantissimi. E' la storia di una tragedia d'amore sullo sfondo della storia dell'isola di Andros, dai primi anni del '900 fino a dopo la guerra civile greca.
La storia di un amore frustato, che non si spegnerà mai, tra Orsa, figlia di Savas e di Mina, con Spiros Maltabès. Mina si oppone al matrimonio, fa sposare la figlia Orsa con il più ricco Nikos Vatozukis. In questo modo crea le condizioni che porteranno all'infelicità e alla morte finale di Orsa. Ad aggravare ulteriormente la situazione contribuirà il matrimonio tra Moscha, sorella di Orsa, proprio con Spiros.
L'interesse del libro, oltre che nella storia tragica di questo amore, sta nella descrizione di un ambiente, quello degli isolani di Andros: gli uomini si dedicano al mare, fonte di morte, ma anche di ricchezza. Alcuni, infatti, diventano armatori e capitani, navigano in tutti gli oceani, tornando alle loro famiglie pochi mesi all'anno.
Nelle storie dei rapporti tra uomini e donne, non c'è solo il mancato matrimonio tra Orsa e Spiros, e la loro infelicità. Si evidenziano matrimoni falliti, prima di tutto quello dei genitori di Orsa, il cui padre, come tanti altri marinai, si era fatto una famiglia parallela in Argentina. Ma anche il matrimonio della sorella Moscha, in fondo, è un ripiego. Poi ci sono i matrimoni finiti per la morte dei mariti, in seguito agli innumerevoli naufragi, oppure nel corso della guerra.
Interessante ruolo ha il soffitto della casa in cui vivono, oltre ai genitori (Mina e Savas), le due coppie "infelici" Orsa-Nikos e Moscha-Spiros. Attraverso il sottile soffitto, Orsa ascolta tutto quello che fanno e dicono Moscha e Spiros e questo contribuirà a mantenere vivo un amore mai spento, che la porterà alla consunzione, dopo la notizia della morte da eroe di Spiros durante la guerra.
Il rapporto tra le due sorelle diventa conflittuale ed aspro, allorché Moscha viene a sapere della storia d'amore della sorella con il marito. Ma poi tutto si scioglie e Moscha recupera l'affetto per Orsa, debole e malata; capisce che sono state travolte da un destino più forte di loro. Fatum fugi non potest.
In qualche circostanza ci sono delle notazioni sugli italiani, descritti come inetti alla guerra e razziatori di colombe e di gatti.
Nel complesso il libro è interessante e la storia avvincente, anche se la forma per frasi giustapposte con virgole, senza distinguere il discorso diretto, a volte richiede una rilettura. Inoltre, i personaggi sono molto numerosi e bisogna fare attenzione ai tanti nomi.
Un appunto va fatto sul titolo. Non capisco perché è stato scelto per la versione italiana "L'isola dei gelsomini", fiori che appaiono qualche volta nella storia, ma che non sono per nulla una caratteristica di Andros, e non l'originale "La piccola Inghilterra", che identifica meglio Andros, per i legami di affari, relativi ai rapporti marittimi, con la Gran Bretagna e che diviene il nome della nave di Spiros, sulla quale troverà la morte eroica durante al guerra.

Finale:
"Orsa comunque morì tra le braccia della sorella il pomeriggio di venerdì 16 aprile 1948, a trentanove anni e i ragazzini, a sciami si accalcavano nella piazza principale della città dove osti e pasticceri, di comune accordo, avevano sostituito le vecchie sedie con duecentocinquanta moderne poltroncine verdi".