venerdì 25 settembre 2020

La mia lotta (1) / Karl Ove Knausgard

La mia lotta (1) / Karl Ove Knausgard ; traduzione di Lisa Raspanti. - Milano : Ponte alle Grazie, 2010. - 489 p. ; 22 cm. - Successivamente pubblicato da Feltrinelli con il titolo La morte del padre. 


Ci sono dei punti interessanti è, indubbiamente Knausgard sa scrivere, ma a volte è insopportabile nelle noiose elencazioni, come ad esempio questa:

Prima quello che avremmo mangiato per cena, che posò sul bancone - quattro filetti di salmone sottovuoto, un sacchetto di patate scure di terra, un cavolfiore e un pacco di fagioli surgelati - poi tutte le altre cose, che mise un po’ in frigorifero e in parte nella credenza. Una bottiglietta di Sprite da mezzo litro, una bottiglia da mezzo litro di birra CB, un sacchetto di arance, un cartone di latte, uno di succo d’arancia, una pagnotta. Io accesi i fornelli e presi una padella dal mobile sotto il bancone, presi la margarina dal frigorifero, ne tagliai un pezzo e lo misi nella padella, riempii una grande pentola di acqua e la misi sulla piastra dietro, slegai il sacco e feci cadere le patate nel lavello, aprii l’acqua e iniziai a lavarle, mentre il burro lentamente si scioglieva sul fondo nero della padella.

C'è bisogno di fare l'elenco della spesa così dettagliato?

Incipit

PER IL CUORE LA VITA È SEMPLICE: batte finché può. Poi si ferma. Prima o poi, un giorno o l’altro, quel movimento pulsante si arresta da solo e il sangue inizia a scorrere verso i punti più bassi del corpo, dove si accumula in un piccolo ristagno, visibile dall’esterno come una chiazza scura e molle sulla pelle sempre più bianca; intanto la temperatura scende, gli arti si irrigidiscono e i visceri si svuotano. I mutamenti di queste prime ore avvengono così lentamente e vanno avanti con una tale sicurezza da avere in sé un che di rituale, come se la vita capitolasse secondo determinate regole, una specie di gentlemen’s agreement, a cui si conformano anche i rappresentanti della morte, mentre aspettano che la vita si sia ritirata, prima di cominciare l’invasione del nuovo territorio. Da quel momento, però, non si torna indietro. Nessuno può fermare gli enormi sciami di batteri che cominciano a diffondersi all’interno del corpo. Se avessero tentato solo poche ore prima, avrebbero incontrato subito resistenza, ma ora tutto è immobile intorno a loro, e si spingono sempre più giù nell’umida oscurità. Raggiungono i canali di Havers, le cripte di Lieberkühn, le isole di Langerhans. Raggiungono le capsule di Bowman nei reni, la colonna di Clarke nel midollo spinale, la sostanza nera nel mesencefalo. E raggiungono il cuore. È ancora intatto, ma privo del movimento che è lo scopo di tutta la sua struttura, ha in sé una strana desolazione, come una fabbrica che gli operai hanno dovuto abbandonare in fretta e furia, si potrebbe pensare, le ruspe immobili con la luce gialla dei fari puntata contro l’oscurità della foresta, le baracche deserte, la fila di casse che pendono cariche dalla funivia lungo il fianco della montagna.

La considerazione della morte nella nostra società

Non è però facile dire cosa venga rimosso esattamente. Non certo la morte in sé: la sua presenza nella società è troppo diffusa perché accada. La quantità di morti che ogni giorno vengono citati nei quotidiani o mostrati nei telegiornali varia a seconda delle circostanze, ma da un anno all’altro probabilmente il numero è più o meno costante e, dal momento che è divulgato su così tanti canali, praticamente inevitabile. Quella morte non sembra però minacciosa. Anzi, è qualcosa che desideriamo e che paghiamo per vedere. Se poi si prendono in considerazione le smisurate quantità di morti prodotti dalla fiction, il sistema che vuol tenere i morti lontano dalla nostra vista diventa ancora più incomprensibile. Se la morte come fenomeno non ci spaventa, perché dunque tanto disagio davanti ai cadaveri? 

Le pompe funebri

Tutte le pompe funebri sono il più possibile vicino al livello della strada. Non è facile dire perché; si potrebbe pensare che sia dovuto a una vecchia convenzione che aveva inizialmente uno scopo pratico, come per esempio che la cantina era fredda e dunque più adatta a conservare i cadaveri, e che questo principio sia stato mantenuto persino nella nostra epoca di congelatori e celle frigorifere, se non fosse per l’idea che portare i morti in alto sembra contro natura, quasi che l’altezza e la morte si escludessero a vicenda. 

Lo scorrere del tempo

Per tutta l’infanzia e l’adolescenza ci sforziamo di stabilire la giusta distanza dalle cose e dai fenomeni. Leggiamo, impariamo, facciamo esperienze, rettifichiamo. Arriviamo quindi un giorno al punto in cui tutte le distanze necessarie sono state fissate, tutti i sistemi necessari sono stati stabiliti. È allora che il tempo comincia ad andare più veloce. Non incontra più nessun ostacolo, tutto è stato fissato, il tempo scorre attraverso le nostre vite, i giorni scompaiono a gran velocità, prima di rendercene conto abbiamo quaranta, cinquanta, sessant’anni...

Innamoramento ai tempi della scuola (il brano più bello!)

Durante la lezione, non riuscii a concentrarmi. Pensavo solo a Hanne, nonostante che fosse nella mia stessa stanza. Pensare, o meglio... Si poteva piuttosto dire che traboccavo di sensazioni che bloccavano la strada a qualsiasi altro pensiero. E così fu per tutto quell’inverno e quella primavera. Ero innamorato e non era un innamoramento di quelli piccoli, era uno di quelli grandi, di quelli per cui in una vita c’è posto solo per tre, forse quattro. Questo era il primo e, visto che era una novità assoluta, forse anche il più intenso. Tutto per me ruotava intorno a Hanne. Ogni mattina mi alzavo ed ero contento di andare a scuola, dove ci sarebbe stata lei. Se non c’era, se era malata o assente, ogni cosa perdeva subito di senso, allora il resto della giornata consisteva solo nel cercare di resistere. Per cosa? Che cosa aspettavo, quando aspettavo? Sicuramente non gli abbracci appassionati o i baci intensi, perché una relazione in quel senso semplicemente non esisteva. No, ciò che aspettavo e per cui vivevo era la mano che mi sfiorava la spalla, il sorriso che le illuminava il viso quando mi vedeva o quando facevo lo spiritoso, erano le strette e gli abbracci quando ci incontravamo come amici dopo la scuola. I secondi in cui la stringevo tra le braccia e sentivo la sua guancia contro la mia, il suo odore, quello del suo shampoo, il leggero profumo di mela. Era attratta da me, lo sapevo, ma aveva dei confini così rigidi intorno a sé e a cosa poteva fare, che non era possibile che ci mettessimo insieme. O meglio, non ero poi così sicuro che fosse attratta da me, poteva essere semplicemente lusingata dalle mie attenzioni e volerci giocare un po’. Ma in ogni caso speravo, davo un’interpretazione a tutto quello che diceva e faceva durante le giornate di scuola quando tornavo nel mio appartamento e la cosa o mi faceva precipitare giù, nella valle più profonda dell’infelicità, o mi trascinava su, sulla cima più alta e luminosa della felicità. Non esisteva una via di mezzo.

A scuola iniziai a mandarle dei bigliettini. Piccoli commenti, saluti, brevi messaggi che spesso avevo pensato la sera prima. Poi lei rispondeva, io leggevo e scrivevo una risposta, che rimandavo indietro osservando attentamente mentre la leggeva. Se lei metteva fine a qualcosa a cui avevo dato inizio, mi rabbuiavo. Se mandava avanti la cosa, dentro di me fremevo e scintillavo come una campana. Dopo un po’ i biglietti furono sostituiti da un blocco, che andava avanti e indietro tra me e lei, non troppo spesso, non volevo che le venisse a noia, ma due o tre volte in una giornata potevano bastare. Le chiedevo spesso se voleva venire con me al cinema o in un bar e lei rispondeva ogni volta: Sai che non posso.

... e delusione

Ero stato annientato. Io con tutti i miei bigliettini, con tutte le conversazioni con lei, con tutte le mie ingenue speranze e i miei desideri infantili, io ero nessuno, un grido nel cortile della scuola, una pietra in fondo a un dirupo, il rumore di una macchina di passaggio.

Memoria dell'infanzia

A parte alcuni singoli eventi, di cui io e Yngve avevamo parlato così spesso che avevano assunto quasi proporzioni bibliche, non ricordavo praticamente niente della mia infanzia. O meglio, non ricordavo praticamente niente degli eventi. Ma ricordavo i luoghi in cui erano avvenuti. Ricordavo tutti i posti in cui ero stato, tutte le stanze. Ma non quello che vi era successo.

Nostalgia dell'infanzia

Perché la nostalgia non solo è spudorata, ma anche traditrice. Cosa ricava in realtà una persona di vent’anni dalla nostalgia per la propria infanzia? Per la sua adolescenza? Sembrava quasi una malattia.

I sentimenti

 I sentimenti sono come l’acqua, prendono sempre la forma di ciò che li circonda. Neppure il più grande dolore lascia tracce, neppure quando dura a lungo e sembra capace di sopraffarti, e non perché i sentimenti si congelino, non possono farlo, ma perché restano calmi, come l’acqua in uno stagno.

Pioggia

Oh, la soffocante aria estiva che all’improvviso si rinfresca, tanto da diventare più fredda della pioggia che ti cade sul viso, e allora chini la testa all’indietro per godere di quella particolare sensazione. Le foglie degli alberi che tremano sotto il tocco leggero delle gocce, il lieve, quasi impercettibile, tamburellare della pioggia a diverse altezze: contro la montagna rocciosa accanto alla strada o sui fili d’erba nel fossato sottostante, sul tetto di fronte e sul sedile della bicicletta incatenata allo steccato, sull’altalena in giardino e sui cartelli stradali, nei canaletti di scolo e sulle carrozzerie e sui tetti delle auto parcheggiate.

L'aria, vita e morte

L’aria era diventata leggermente più fresca e dato che la mia pelle era così calda dopo il lavoro, me ne accorsi subito, sentii come mi circondava, premeva sulla pelle e penetrava nella bocca quando la aprivo. Circondava gli alberi davanti a me, le case, le macchine, i pendii delle montagne. L’aria che si sposta da un posto a un altro quando la temperatura scende, queste continue cascate nel cielo che noi non riusciamo a vedere, che ci arrivano addosso come enormi ondate, sempre in movimento, in lenta caduta, con veloci turbinii, dentro e fuori da tutti questi polmoni, l’aria che sbatte contro tutti questi muri e tutti questi angoli, sempre invisibile, sempre presente.

Ma papà non respirava più. Questo era quello che gli era successo, il collegamento con l’aria si era interrotto, ora l’aria lo circondava come se lui fosse un oggetto qualsiasi, un tronco d’albero, una tanica di benzina, un divano. Non inalava più l’aria dentro di sé, perché è questo che facciamo quando respiriamo, inaliamo, entriamo sempre più a far parte del mondo.


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recensireilmondo.com

linkiesta.it/2014

www.youtube.com Intervista




mercoledì 2 settembre 2020

Il sentiero dei nidi di ragno / Italo Calvino


Il sentiero dei nidi di ragno / Italo Calvino ; presentazione dell'autore ; con uno scritto di Cesare Pavese. - Milano : Oscar Mondadori, 2011. - LXIV, 152 p. ; 20 cm.


Incipit

"Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d’arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico.
Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l’orina dei muli.
Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all’aria sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di Pietromagro il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché dai davanzali nasca un’eco di richiami e d’insulti.
– Pin! Già a quest’ora cominci ad angosciarci! Cantacene un po’ una, Pin! Pin, meschinetto, cosa ti fanno? Pin, muso di macacco! Ti si seccasse la voce in gola, una volta! Tu e quel rubagalline del tuo padrone! Tu e quel materasso di tua sorella!
Ma già Pin è in mezzo al carrugio, con le mani nelle tasche della giacca troppo da uomo per lui, che li guarda in faccia uno per uno senza ridere:
- Di' Celestino, sta' un po' zitto, bel vestito nuovo che hai. E-di', quel furto di stoffa ai Moli Nuovi, poi, non si sa ancora chi sia stato? Be', che c'entra. Ciao Carolina, meno male quella volta. Si, quella volta meno male tuo marito che non ha guardato sotto il letto. Anche tu, Pasca, m'han detto che è successo proprio al tuo paese. Sì, che Garibaldi ci ha portato il sapone e i tuoi paesani se lo son mangiato. Mangiasapone, Pasca, mondoboia, lo sapete quanto costa il sapone?"

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Recensione di Cesare Pavese

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