giovedì 22 settembre 2022

Atlante occidentale / Daniele Del Giudice

 


Atlante occidentale / Daniele Del Giudice. - Torino ; Einaudi, [2009] (ET). - 173 p. ; 20 cm.

Incipit

All’inizio del campo d’erba provò il timone; poi, dondolando le ali, cominciò a rullare. Il volantino gli spingeva i gomiti vicini ai fianchi e la coda bassa dell’aereo gli spostava il viso in avanti, spartendo la visuale tra gli orologi del cruscotto e gli alberi lontani, come una lente bifocale. Ciò che pensava come una sua posizione era in realtà l’adeguamento a tutto quanto, dall’aereo e da fuori, gli veniva incontro, compresa la sua faccia resa anamorfica dal sole sulla curvatura del plexiglas.

Ogni campo d’aviazione ha una luce molto piú aperta della città con cui confina, e un colore pastello che dà solidità alle cose; ha anche un punto di attrazione, dove la velocità coincide finalmente col rumore. Filava verso quel punto aspettando che l’hangar, la pompa di benzina e l’ufficio del noleggio scivolassero sempre piú veloci ai lati. Era capace di sentire quand’è il momento, però guardò l’anemometro. E solo dopo si staccò da terra.

Ci fu un lampo sulla destra, qualcosa che schizzava fuori dagli alberi, pura velocità contro di lui. L’altro aereo veniva sbieco, cosí vicino e cosí basso che immaginò il cupolino tranciato dall’elica. Si chinò di lato, spingendo in giú la cloche e togliendo motore, e sentí insieme il campanello dello stallo e il colpo degli ammortizzatori arrivati a fine corsa. La pancia bianca gli passò sopra: intima, avvolgente e fragorosa come uno schiaffo.

Era di nuovo a terra, con l’aereo che slittava sul prato in qua e in là; cercava di non fare manovre brusche e di assecondarlo con piccoli colpi di timone in controsenso, al limite dell’equilibrio, finché ridusse la velocità e ogni prospettiva ritornò normale. Alla recinzione del campo girò con un po’ di abbrivio su se stesso, e si fermò. Sporgendosi verso il plexiglas cercò l’altro aereo nel cielo: prendeva quota, lieve e tranquillo, come se niente fosse stato.

Risalí la pista verso l’hangar, veloce; il sole basso del mattino, prima di spalle, ora è di faccia, appena diaframmato e scurito dal passaggio dell’elica. Correva abbastanza, ogni tanto sollevava il ruotino di dietro e subito rallentava per rimetterlo giú; cosí è come andare in macchina, ma non si può accelerare, le ali sono di ingombro, la posizione scomoda. Gli sembrava che il campo non finisse mai.

Link

it.wikipedia.org/wiki/Atlante_occidentale

lindiceonline.com

borislimpopo.com

https://Video rai cultura





lunedì 5 settembre 2022

Babilonia / Yasmina Reza


Babilonia / Yasmina Reza ; traduzione di Maurizia Balmelli. - Milano : Adelphi, 2017 (Fabula ; 318). - 157 p. ; 22 cm.


Incipit:

È in piedi appoggiato a un muro, per strada. In giacca e cravatta. Ha le orecchie a sventola, uno sguardo spaventato, capelli corti e bianchi. È magro, con le spalle strette. Tiene in bella mostra una rivista su cui si legge la parola «Awake». La didascalia dice: Jehovah’s Witness – Los Angeles. La foto è del 1955. Aveva l’aria di un ragazzino. Ormai è morto da tempo. Per distribuire i suoi opuscoli religiosi si vestiva in modo consono. Era solo, abitato da una perseveranza triste e rabbiosa. Ai suoi piedi s’intravede una cartella (se ne scorge il manico), con dentro le decine di opuscoli che nessuno o quasi gli prenderà. Sono anche quegli opuscoli stampati in numero incongruo a evocare la morte. Quegli slanci di ottimismo – troppi bicchieri, troppe sedie... – che ci inducono a moltiplicare le cose per renderle subito vane. Le cose e i nostri sforzi. Il muro davanti al quale si trova è gigantesco. Lo si intuisce dall’opacità greve, dalle dimensioni delle pietre tagliate. Probabilmente è ancora lì, a Los Angeles. Il resto è svanito chissà dove: l’omino con l’abito troppo largo e le orecchie a punta che gli si era piazzato davanti per distribuire una rivista religiosa, la sua camicia bianca e la cravatta scura, i pantaloni consumati al ginocchio, la cartella, gli opuscoli. Che importa quello che siamo, quello che pensiamo, quello che diventeremo? Siamo da qualche parte nel paesaggio fino al giorno in cui non ci siamo più. Ieri pioveva. Ho riaperto The Americans di Robert Frank. Era perso nella libreria, incastrato nell’angolo di uno scaffale. Ho riaperto quel libro che non aprivo da quarant’anni. Ricordavo il tizio che vendeva una rivista per la strada. La foto è più sgranata, più sbiadita di quanto mi aspettassi. Volevo riguardare The Americans, il libro più triste del mondo. Morti, stazioni di servizio, uomini soli con in testa un cappello da cowboy. Sfogli le pagine e sotto gli occhi ti sfilano i juke-box, i televisori, gli oggetti della recente prosperità. Sono lì, solitari come l’uomo, questi nuovi venuti sovradimensionati, troppo pesanti, troppo luminosi, posti in spazi impreparati. Un bel mattino qualcuno li porta via. Faranno ancora un giretto, sballottati fino alla discarica. Siamo da qualche parte nel paesaggio fino al giorno in cui non ci siamo più. Mi è tornato in mente lo Scopitone del porto di Dieppe. Partivamo con la due cavalli, alle tre del mattino, per andare a vedere il mare. Avrò avuto al massimo diciassette anni e ero innamorata di Joseph Denner. Eravamo in sette a bordo e il culo dell’auto toccava terra. Ero l’unica ragazza. Denner guidava.


Passi

Camere

“Nella mia vita le camere mi hanno spesso abbattuta. Camera di bambina. Camere d’ospedale. Camere d’albergo con una brutta vista. È la finestra che fa la camera. Lo spazio che ritaglia, la luce che lascia entrare. E poi le tende. I tendaggi! Nella mia vita sono stata in ospedale tre volte, contando il parto. “Ogni volta la camera d’ospedale mi ha abbattuta, con i suoi finestroni vagamente opacizzati che rivelavano un blocco simmetrico rispetto a quello in cui ero, dei rami o un cielo incongruo. Ogni volta la camera d’ospedale mi ha tolto ogni speranza. Anche con accanto il bebè nella sua culla di vetro.”

La donna deve essere allegra

“La donna dev’essere allegra. A differenza dell’uomo, a cui sono concessi lo spleen e la malinconia. A partire da una certa età, una donna è condannata al buonumore. Se tieni il broncio a vent’anni è sexy, se tieni il broncio a sessanta è una rottura di palle. Quando ero giovane, non si diceva creare legame, non so a quando risalga questo singolare. Né cosa voglia dire; il legame ridotto alla sua astrazione non ha alcun valore in sé. È l’ennesima espressione vacua.”

Le cose lasciate da chi muore

“Una donna lavora all’uncinetto per tutta la vita e lascia dietro di sé questi scampoli che non servono a niente e a nessuno. Inventava dei motivi ma a nessuno gliene importa. A chi volete che interessino dei motivi all’uncinetto? La morte si porta via tutto ed è un bene. Bisogna fare spazio a chi arriva. Nella nostra famiglia l’abbiamo fatto in maniera radicale. Il modello biblico, il tal dei tali padre di tal dei tali che ha generato tal dei tali, a casa nostra non esiste. In nessun ramo della famiglia. ”

“Svuotando la casa di nostra madre abbiamo ritrovato in un cassetto tutto il suo materiale da ufficio. Risaliva ad anni prima, al tempo in cui teneva la contabilità di Sani-Chauffe. “Un astuccio con una riga, una Bic a “quattro colori, delle graffette, un blocco di carta perfettamente conservato, un paio di forbici pronte a tagliare per altri cent’anni. Gli oggetti sono bastardi, ha detto Jeanne. Ho di nuovo chiesto a Jean-Lino che cosa fosse successo.”

La morte

“Nessuno ci avverte dell’irrimediabile. Non c’è un’ombra furtiva che passa con la falce.”

San Michele a Venezia

“Penso spesso al cimitero di San Michele a Venezia. Visitato con Pierre e Bernard, quasi solo noi, un nebbioso giorno di novembre. San Michele, dedalo infinito di recinti, unità, lotti, campi. Un’intera isola di tombe. I corridoi del colombario: muri interamente ricoperti di foto accanto a vasi murali da cui spuntano fiori finti. Centinaia di foto di gente benvestita e pettinata che sorride ammiccando. Ci eravamo persi a girovagare senza meta e senza incrociare nessuno. Era ora di pranzo, in settimana. Su una stele c’era questa iscrizione, «Sarai sempre con noi, con amore, la tua Emma». La sfacciataggine della frase mi ha colpito. Come se ci fosse qualcuno che sulla terra ci resta in eterno. Come se i due mondi fossero destinati a rimanere separati. Nella sezione delle urne c’era un muro dei dimenticati. Una parete sporca e grigia. Le date e i nomi erano pressoché cancellati. Su una lapide più chiara si riusciva ancora a leggere millenovecentocinque. Nessuna foto, da nessuna parte, non c’era niente, salvo una o due escrescenze di fiori di porcellana fissati alla lastra. Quella gente non era più con nessuno, in questo mondo."

Protezione

“Mi ha ricordato quelle capanne che si fanno da bambini. Ci sistemiamo tutto vicino, soffitto, pareti, oggetti, corpi, bisogna che lo spazio sia il più ridotto possibile. Finché il mondo esterno è visibile soltanto da una fessura mentre fuori si scatenano tuoni e fulmini.”

Ansia di anticipazione

“Era, mi sono detta scrutando il parcheggio cupo, il delirio dell’ansia di anticipazione che assale i vecchi. Essere stressati dalla possibilità del problema. Mia madre tirava fuori il biglietto dell’autobus duecento metri prima della fermata. Camminava col biglietto proteso, stretto nel guanto di lana. Idem per gli spiccioli in “coda alla cassa di qualsiasi negozio. Può capitare anche a me. Uno dev’essere pronto a ogni evenienza, delimitare il territorio. Quando mia madre andava a trascorrere qualche giorno da sua cugina ad Achères (con il diretto da Asnières), una settimana prima la valigia era già per terra, aperta e foderata di indumenti. Lo faccio anch’io, con un anticipo appena più ragionevole.”



Links:

www.nazioneindiana.com

linkiesta.it/blog

youtube.com (lettura)

Arte / Yasmina Reza


Arte / Yasmina Reza ; traduzione di Federica e Lorenza Di Lella. - Milano : Adelphi, 2018 (Piccola biblioteca Adelphi ; 728). - 101 p. ; 18 cm.

Incipit:

Marc, da solo.
MARC  Il mio amico Serge ha comprato un quadro.
È una tela di circa un metro e sessanta per un metro e venti, dipinta di bianco. Il fondo è bianco, e strizzando gli occhi si possono intravedere delle sottili filettature diagonali, bianche. Il mio amico Serge è mio amico da molto tempo. È uno che ha fatto strada, è dermatologo e ama l’arte.
Lunedì sono andato a vedere il quadro che Serge aveva acquistato sabato, ma su cui aveva messo gli occhi già da mesi. Un quadro bianco, con delle filettature bianche.

 

Casa di Serge.
Appoggiata a terra, una tela bianca con delle sottili filettature diagonali bianche.
Serge guarda, compiaciuto, il suo quadro.
Marc guarda il quadro.
Serge guarda Marc che guarda il quadro.
Una lunga pausa durante la quale i sentimenti si esprimono senza tradursi in parole.
MARC  Caro?
SERGE  Duecentomila.
MARC  Duecentomila?...
SERGE  Handtington me lo riprende a due e venti.
MARC  Chi?
SERGE  Handtington?!
MARC  Non so chi sia.


Links:

www.illibraio.it/news 


Bella figura / Yasmina Reza


Bella figura / Yasmina Reza ; traduzione di Donatella Punturo. - Milano : Adelphi, 2019 (Piccola Biblioteca Adelphi ; 743). - 106 p. ; 18 cm.


Incipit:

Una sera di primavera. C’è ancora luce.
Il parcheggio di un ristorante (che non si vede).
Un uomo in piedi.
Una macchina con lo sportello aperto dal lato del passeggero.
Ne sporgono le gambe di una donna.
La donna accende una sigaretta.
Può anche passare qualche istante prima che l’uomo parl

 

BORIS ... Oppure prendiamo una camera all’Ibis e ti scopo direttamente... Preferirei!
ANDREA All’Ibis...!
BORIS O da qualsiasi altra parte!... (Una pausa) ... Se tu potessi non fumare in macchina sarebbe meglio.
Andrea aspira il fumo e lo soffia dentro la macchina, dietro, davanti, mettendocisi d’impegno.
BORIS Allora, che facciamo?
ANDREA Chissenefrega.
BORIS Restiamo? Ce ne andiamo? Che facciamo, Andrea?
ANDREA Di’ un po’: ti sembra normale portarmi in un ristorante consigliato da tua moglie?
BORIS Non l’ha consigliato, ha detto che era buono, e piacevole.
ANDREA È uguale.
BORIS No...!


Links:

cartesensibili.wordpress