lunedì 25 maggio 2020

Il Dizionarietto di greco / Paolo Cesaretti, Edi Minguzzi

Il Dizionarietto di greco : le parole dei nostri pensieri / Paolo Cesaretti, Edi Minguzzi. - Brescia : La scuola, 2017 (Orso Blu, 99). - 252 p. ; 20 cm.


E' un dizionario che seleziona alcuna parole fondamentali della lingua greca, che sono indispensabili per la cultura in generale.
Da Accademia a Zoologia.


Chi ha detto che il greco è marginale nel panorama delle lingue moderne o, peggio, che il greco antico è una lingua morta? Questo Dizionarietto, con una cavalcata interdisciplinare attraverso le parole (da Accademia a Zoologia), mostra come l’universo linguistico greco sia il serbatoio concettuale di 3000 anni di cultura occidentale, come dimostrano anche i neologismi che hanno caratterizzato le scienze negli ultimi secoli (dalla fisica alla cibernetica, dalla economia alla psicoanalisi). Per ogni lemma si presentano l’etimologia, la fortuna culturale, gli esiti, spesso paradossali, nella lingua comune, le curiosità e l’uso, con brevi citazioni di passi greci proposti nell’originale, trascritti e tradotti. Utile a chi ha frequentato il liceo classico, ma anche a chi proviene da altri percorsi, il Dizionarietto di greco offre ai lettori la “carta d’identità” della nostra cultura. E consente di riscoprire con occhi nuovi la più formidabile macchina per pensare (e sentire) mai elaborata: la lingua greca.
PAOLO CESARETTI insegna Letteratura Greca, Civiltà Bizantina e Storia Romana all’Università di Bergamo. Tra le sue pubblicazioni: Teodora. Ascesa di una imperatrice (Mondadori, 2002) e Le quattro mogli dell’imperatore. Storia di Leone VI di Bisanzio e della sua corte (Mondadori, 2015).
EDI MINGUZZI insegna Lingua Greca all’Università Statale di Milano. Tra i suoi lavori, Imparare il greco. Grammatica e lessico di base (Cortina, 2012) e, con R. Giacomelli, La parola e la frase. Corso di semantica (Il Calamo, 2007).

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Video presentazione

sabato 23 maggio 2020

Dissipatio H. G. / Guido Morselli

Dissipatio H. G. / Guido Morselli. - Milano : Adelphi, 2012 (Gli Adelphi ; 417). - 142 p. ; 20 cm.

Incipit:

"Relitti fonico-visivi mi tengono compagnia, e sono ciò che di più diretto mi rimanga di ‘loro’. Puramente verbali, due (da notiziari della radio, suppongo): fallito dirottamento e riuscito stupro di una ragazza in un aereo dell'Olympic Airways; e quest'altro in inglese, forse dall'inattendibile Voice of Europe: A favorite Polish joke goes, we feign to work, the State feigns to pay us. E due immagini: una bottiglia, con corona reale sullo sfondo, e la scritta in rosso: Seagram's Canadian Whisky. Il quadratino bianco del campo di tennis dietro l'Hotel Bellevue, nell'oculare del mio binocolo. La memoria involontaria non ha altro, e questi ricordi vi fluttuano insistenti e vaghi.
Relitti inconsistenti, e ormai reliquie. Da quella notte un mezzo mese è trascorso, e potrei dire altrettanto bene un mezzo secolo. Un lungo panico, in principio. E poi, ma tramontata subito, incredulità, e poi di nuovo paura. Adesso l'adattamento. Rassegnazione? Direi proprio accettazione. Con intervalli di proterva ilarità, e di feroce sollievo.
Esco dalla sede del giornale. Ci lavoravo da giovane, e ci sono tornato, l'ho girato tutto, per una conferma. La conferma c'è stata: ho negli occhi il gesto assurdo delle linotypes, i cui bracci scheletrici continuano, chissà come, a sollevarsi e a abbassarsi. Allorché ' loro ' sono scomparsi (alle due del mattino), il lavoro era a quel punto, in tipografia i linotypisti che componevano, le rotative non ancora in moto; la redazione, su, che ripassava gli ultimi servizi. I flashes d'agenzia rimasti in tronco sulle telescriventi (e non mi sono curato di leggerli, ho visto che erano interrotti: i messaggi cessati all'altro capo del telex; qui, tutto era regolare). Nel suo stallo privilegiato, l'I.B.M. con le spie rosse accese. Del resto, i locali del giornale sono illuminati; nell'ufficio della segretaria di redazione, che era sempre la signorina Manàss, un piccolo ventilatore seguita a ronzare sul tavolo. Lei, stava scrivendo, la penna è di traverso al foglio, come caduta dalla sua mano. Ma la poltrona non è ribaltata. Anzi, non è scostata dalla scrivania. Come ha fatto la signorina Manàss a involarsene?"

Note

Non rompere il silenzio. E' una cosa che mi accomuna.

Me ne sono stato seduto alla macchina un pomeriggio, senza toccarla. Il ticchettio dei tasti mi avrebbe sconvolto. O era come un superstizioso dovere, non rompere il silenzio. In cucina, per riscaldarmi il caffè, in punta di piedi. Fuori, sul selciato, la pioggia batteva sonoramente, ma io non dovevo fare rumore.

Eppure il silenzio gravava e io lo registravo con un senso diverso da quello uditivo, forse emozionale, forse riflesso e ragionante. Ciò che 'fa' il silenzio e il suo contrario, in ultima analisi è la presenza umana, gradita o sgradita; e la sua mancanza. Nulla le sostituisce, in questo loro effetto.
E il silenzio da assenza umana, mi accorgevo, è un silenzio che non scorre. Si accumula.

Suicidio

La notte favolosa fra il 1 e il 2 giugno. Quella notte, era deciso, io mi sarei ammazzato.
Perché.
Per il prevalere del negativo sul positivo. Nel mio bilancio. Una prevalenza del 70 per cento. Motivazione banale, comune? Non ne sono certo.

Andarmene, dunque, senza lasciare traccia. Questo mi è parso essenziale. La gente, se se ne fosse poi occupata, doveva concludere a una definitiva irreperibilità. Meglio, a un misterioso annichilamento, un dissolvimento nel nulla. 
(In fondo anche lui sogna una dissipatio)

L'epilogo è in armonia con questo imprevedibile. Non ho agito. Sono stato agito dal senso organico, che è quanto dire : 85 chilogrammi di sostanza vivente non ubbidivano. Consci, a modo loro, della sentenza secondo cui morire è cambiare materia, non erano disposti a cambiare materia.

Il racket della diagnosi precoce

Cose note a milioni di vittime, con le quali io ero caduto nel racket della «diagnosi precoce». Il fenomeno, per essere parte del Sistema (in senso marcusiano), viene accolto con benevolenza dalla sociologia, ossia ignorato o non denunciato, ma ha le caratteristiche precise della estorsione mafiosa. La malattia di partenza non è grave, ma può diventarlo, ovviamente, sicché occorre «seguirla», occorrono interventi medici frequenti per accertare «in sede diagnostica», si osservi, eventuali degenerazioni. Ma - si domanda il soggetto (passivo) - a che scopo, visto che le «eventuali degenerazioni», ove mai si verifichino, sono incurabili, e incurate? Ogni tre mesi mi costringete all'attesa del verdetto : «c'è o non c'è». A che scopo, visto che se «c'è», è l'agonia lenta e sicura, consapevole, e senza rimedio?

Gli oggetti e i richiami alla vita

A parte l'aggressione dei problemi irrisolti, c'è l'assedio delle piccole cose 'care'. Piccole cose familiari e vischiose, gli oggetti che ti riagguantano, e ognuno ha il suo modesto fascino prensile, tenace, è la foto fatta da te, incorniciata da te, della neve d'aprile sul tetto, il tappetino fìnto-buchara che ti sei regalato per Natale, la macchina da scrivere col foglio infilato sul rullo, il fanale da caccia a carburo che non ti serve ma sta così a posto in anticamera col suo rosso vivo, il long-playing con la sonata per piano di Albinoni. E ognuno col suo struggente appello, con la sua insidia: e vuole intrattenerti, legarti, si stupisce che tu abbia pensato di, tentato di... Ma infine, se torni, ti dicono, se sei ancora qui, è stato anche per noi; e magari lo sanno che non è vero, ma bisogna pure che fingano di rallegrarsi.

La posta, avvisi di riunioni, mostre e conferenze, pubblicità spicciola, la rata bimestrale delle tasse (giugno- luglio), la compagnia di assicurazioni che manda un cartoncino a stampa : « Lei compirà domani i 40 anni, i nostri voti migliori e un cordiale consiglio, provveda a... ».

Solipsismo

Solo nel mondo. In gergo filosofico si chiama, salvo errore, solipsismo: l'individuo io, e la sua visione delle cose, nessun altro, niente altro. Ma la filosofia non m'interessava (non mi ha mai molto interessato). Io ' vivevo ' questo. Mi alzavo di tra l'erba e abbracciavo i larici, cosa che mi capitava di fare anche da ragazzo e allo stesso fine preciso: di lasciarmi penetrare dalla loro forza vitale. A volte, invece, convinto di essere di razza celta, e di venerarli come i Celti sacralmente veneravano le querce. A volte, per puro entusiasmo.

Parliamo pure di dinamismo vitale dell'individuo, di molteplicità virtualmente infinita di relazioni, o di esperienze. Ma rendiamoci conto che è retorica. Ognuno è vincolato a un suo minuscolo frammento di realtà, e, di fatto, non ne esce.

Anarchia e Monarchia coincidono, ora e in me. Nessuno dispone di me, io dispongo di tutto. Sono virtualmente in grado di portarmi a casa il Codice Atlantico, o la bibbia di Gutenberg, senza che nessuno mi denunci, di dichiararmi filosofo senza che nessuno mi smentisca, di proclamare la pace perpetua sicuro che sarà osservata, sono virtualmente in grado di...

Chi mai ha avuto paura, prima di me. Non era paura quella che cessava presto o tardi, quella che coglieva alcuni o tanti insieme, che era spartita, condivisa. Che era prevista. Che qualcuno magari cercava, gustava. Io mi sto ripetendo che essa è nata per me, e ne ho le prove sicure, è stata creata per me, contro di me, io ne sono il centro, lo scopo.

Ritorno dalla natura

Non cercata, ho una prova che l'Evento non è una chimera, un'invenzione mia. In mezzo ai binari vedo sfilare una famiglia di camosci. Due femmine, un maschio, e i cuccioli. Scesi a valle dai monti. Mai accaduto a memoria d'uomo. Del resto ho notato qualche altro segno di buon auspicio: gli uccelli fanno un baccano indiavolato, si sono moltiplicati. Sono ricomparsi molto numerosi, con mio piacere perché li ho sempre apprezzati, in senso musicale, i notturni. Le strigi, i gufi, gli allocchi, e le civette, s'intende. L'istinto li avverte di una novità in cui certo non speravano; il grande Nemico si è ritirato. Non ci sono più fumi nell'aria, a terra non ci sono più puzzi e frastuoni. (O genti, volevate lottare contro l'inquinamento? Semplice: bastava eliminare la razza inquinante). Può darsi che questo scorcio di primavera freddo, nebbioso, li incoraggi. Ieri a tramonto un duetto, più espressivo di quello di Lévy e Malinowski, fra civette. Una delle due, la femmina?, teneva il suo verso distinto dal verso del compagno, di un semitono, e non variava se non a intervalli piuttosto lunghi e press'a poco uguali. La melopea ha del primitivo, non del lugubre come tutti dicevano. Ho interloquito, senza cercare di imitare, insistendo su una nota bassa, appena accordata alle loro, in bordone. Ho anche tentato una dissonanza. Pare che non gli dispiacessi, perché si sono avvicinate. Abbiamo gusti in comune, il bosco e la notte; sono nittalopo e nottivago quasi come loro, e anch'io, se canto, canto di notte. A parte che le mie corde vocali, a differenza delle loro, sono state trattate alla nicotina.

Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro.

La natura non si è accorta della notte del 2 giugno. Forse si rallegra di riavere in sé tutta la vita, chiuso l'intermezzo breve che per noi aveva il nome di Storia. Sicuramente, non ha rimpianti né compunzioni.

Il pericolo essenziale - l'uomo - non c'è più. Il resto, ciò che vive, è inoffensivo: è la natura, in me e intorno a me. Date le circostanze, un qualsiasi individuo al mio posto avrebbe buone probabilità di morire di vecchiaia. Le malattie sono socio-indotte, o direttamente o indirettamente: la tensione che veniva dall'esistenza associata, ecc. Adesso non c'è più che un fulmine che possa raggiungermi, un terremoto, un meteorite. Cose remote.

A Klaus, dove la mia valle termina nella pianura, costeggio uno stabilimento. Sulla cinta una scritta cubitale: I nostri detersivi sono biodegrabili al 93%. - Nel frattempo, fabbricanti e clienti sono stati biodegradati al 100%. Gli stambecchi se ne accorgono e ne approfittano.

Me ne sto a guardare, dalla panchina di un viale, la vita che in questa strana eternità si prepara sotto i miei occhi. L'aria è lucida, di un'umidità compatta. Rivoli d'acqua piovana (saranno guasti gli scoli nella parte alta della città) confluiscono nel viale, e hanno steso sull'asfalto, giorno dopo giorno, uno strato leggero di terriccio. Poco più di un velo, eppure qualche cosa verdeggia e cresce, e non la solita erbetta municipale; sono piantine selvatiche. Il Mercato dei Mercati si cambierà in campagna. Con i ranuncoli, la cicoria in fiore. 

Possedere per dimenticare

Era una sera sprecatamente bella, e camminavo con lei nella pineta dietro casa; mi disse che trovava strano che i nostri rapporti si mantenessero «così neutri». Cioè, platonici. Lei (aggiunse) stava bruciando dalla voglia di «essere mia».
Usava la vecchia locuzione gergale, falsa già in senso fisiologico. Venti minuti dopo avevo regolarizzato la nostra posizione, e lei mi confidava con candore, sul posto, che il desiderio che aveva avuto era in realtà il bisogno di « mettermi da parte ». Ci risi su, ma avevo torto, stavolta Henriette parlava bene e chiaro: l'aspirazione a possedere materialmente una cosa o una persona, nasconde, con qualche approssimazione, il nostro intento di liberarci di essa, di passare a altro. Quello che abbiamo posseduto, ce lo possiamo mettere dietro le spalle, confinarlo nel passato, nel già-fat-to. Bene, Henriette!

Vita/morte

Morire biologicamente, è il perfezionarsi di uno stato in cui ci troviamo già ora.

Determinazione è negazione, il nostro status d'individui richiede questi stretti confini, noi siamo fatti di esclusioni, di occlusioni. Ma questo fa sì che alla vita, perlomeno la nostra, ciò che chiamiamo il suo contrario le assomigli molto.

Pensi alla atarassia o impertubabilità, in cui consiste il culmine della vita spirituale per lo stoicismo, il buddhismo, l'ascesi cristiana. Tale indifferenza di fronte ai mali morali o fisici, anticipa la impassibilità del morto. Ma, già per il laico, l'imperturbabilità o impassibilità della morte è la condizione-limite a cui tende l'eroe, l'uomo, comunque, dotato di coraggio, il vero uomo. Il che è affermato esplicitamente nella famosa formula 'perinde ac cadaver'. Lei conosce la storiella di quel soldato che dice, osservando un suo compagno morto davanti alla trincea: vedi un po', quello è il più bravo di tutti, se ne sta lì disteso sotto il fuoco della mitraglia, a guardare tranquillo il cielo. - La storiella non è irriverente, è profonda.

Chi se ne va da questo mondo «passa a miglior vita», dicevano. E il cartellone invitava appunto a andare «dove la vita è migliore». La morte-premio, come emigrazione turistica collettiva, si può concepire, in un secolo, com'era il nostro, vastamente dedito all'educativo esercizio del viaggiare.

Il capo dipartimento del traffico nello Stato del New Jersey, un modesto funzionario, dichiarava ai giornalisti: Voi dite 'imprudenza' quando scrivete delle stragi domenicali sulle strade, ma l'imprudenza non è una causa, è un mezzo. Il guidatore sceglie l'imprudenza perché ha scelto la morte! Perché non vuole tornare a casa. Se gli levate l'automobile si getterà dalla finestra.

Verso il 1650 ci fu un'epidemia, e qualche decennio più tardi la chiesa venne eretta nel punto dove era stata scavata una grande fossa comune. Secondo un'usanza cattolica, i teschi, a centinaia, furono messi in una cella che faceva parte della chiesa ma si apriva, a beneficio dei passanti, sulla strada. «Le ossa che Lei vede, trattenute dalle grate, erano teste pensanti. Ricorda la scena di Amleto col becchino?».

La dissipatio humani generis

Erano maturi i tempi per la ricompensa, i diritti dell'ecologia umana sarebbero stati infine riconosciuti, reintegrati. Il 2 giugno, alle due antimeridiane, è il termine previsto: l'umanità, angelicata in massa (faccio per dire), si solleva a un empireo. Tutto avviene in silenzio. Una volta tanto, in silenzio e senza retorica. Un volo d'anime, che riempie candidamente il cielo notturno. 

C'è una mia vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott'occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie e s'intitolava Dissipatio Humani Generis. Dissipazione non in senso morale. La versione che ricordo era in latino, e nella tarda latinità pare che dissipatio valesse 'evaporazione', 'nebulizzazione', o qualcosa di ugualmente fisico, e Giamblico accennava nella sua descrizione appunto a un fatale fenomeno di questo tipo. Rispetto a altri profeti era meno catastrofico: niente diluvio, niente olocausto «solvens saeclum in favilla», assimilabile oggi a un'ecatombe atomica. Gli esseri umani cambiati per prodigio improvviso in uno spray o gas impercettibile (e inoffensivo, probabilmente inodoro), senza combustione intermedia. Il che, se non glorioso, perlomeno è decoroso.

Cosa da apprezzare, il finale riscatto lui [Salviano da Treviri] lo accordava persino ai pagani, e consisteva in un'assunzione al cielo dopo che i corpi, vivi, fossero resi eterei in un unico portentoso evento. Repentino e inatteso. Cito a memoria : «Mundus permanebit». (E in questo, ci siamo). «Viri, mulieres, pueri, humani viventes cuiuscumque aetatis, ordinis vel nationis, raptim sublimabuntur».

Il chiarimento lo fornisce in piani termini teologici Agostino di Ippo-na. Non converrà, osservava da qualche parte il grande Agostino, che nel regno dei Cieli gli umani compaiano nudi. Rimarco più che opportuno (e che mostra come un alto pensatore sapesse dedicarsi anche ai dettagli della sua scienza: non me lo figuro ai tempi nostri uno Husserl fare altrettanto). Il vestito, argomentava Agostino, è «naturale hominis tegumentum, quasi altera cutis». Perfetto.


Prescelto o escluso?

Io sopravvivo. Dunque sono stato prescelto, o sono stato escluso. Niente caso: volontà. Che spetta a me interpretare, questo sì. Concluderò che sono il prescelto, se suppongo che nella notte del 2 giugno l'umanità ha meritato di finire, e la « dissipatio » è stata un castigo. Concluderò che sono l'escluso se suppongo che è stata un mistero glorioso, assunzione all'empireo, angelicazione della Specie, eccetera.
È un'alternativa assoluta, ma mi si concede di scegliere. Io, l'eletto o il dannato. Con la curiosa caratteristica che sta in me eleggermi o dannarmi. E bisognerà che mi decida. 

L'ultimo degli uomini. Ultimo in un duplice senso: ma di uno dei due sensi non m'interesso. Non mi giudico, non ho apprezzamenti da fare su di me. Mi è chiaro che sono il superstite, e questo, sì, è indubbiamente assurdo, ingiusto, grottesco.
Fatemi morire, nel bene o nel male li devo raggiungere.

Piacere dei mali altrui (schadenfreude)

Meglio, nella presente congiuntura, san Tommaso col suo latino sobrio, anche se feroce. «Beati in regno coelesti videbunt poenas damnatorum, quia beatitudo per hoc magis complacebit». I beati vedranno, dal regno dei cieli, le pene dei dannati, e così si godranno meglio la loro beatitudine. Per esempio il bravo amico Mylius, che non mi perdonava due cose, le visite di Henriette e i miei 39 anni (lui ne aveva 59), nell'ipotesi che io sia dannato si compiacerà di vedermi tale, affacciandosi dal suo regno dei cieli. Non dubito che se ne sentirà risarcito. E come sarà per il prof. Mylius il regno dei cieli, la beatitudine? Assomiglierà a quei soggiorni a Princeton, che lui invidiava a più illustri colleghi?

Alienazione e prostituzione

Una certa volta, il pezzo che io riuscii a far passare s'intitolava forse ampollosamente «Contro il formalismo e il conformismo. Ritocchi a qualche luogo comune», e voleva essere il primo di una serie. Era dedicato a due termini, Alienazione e Prostituzione, l'uno da circoscrivere, l'altro da ampliare. Proponevo che 'Alienazione' si riportasse nei limiti fissati dal Marx post-giovanile. Un lavoratore il quale possa, se lo desidera, autogestire il proprio lavoro e cioè fare, poniamo, l'elettricista con inventività, il fabbro con creatività, ma preferisce la catena di montaggio a motivo della pigra busta-paga, non ha diritto di dirsi vittima dell'alienazione. Quanto alla prostituzione professionale, sarebbe giusto includervi quelle signore che la esercitano legalmente con un marito che non amano, o non amano più ma che continua a pagarle con comodità e disponibilità varie. - Brave borghesi, e sindacati filistei, risposero con contumelie. Il direttore minacciò di licenziarmi, avevo attentato alla 'tiratura'.

Termini di paragone

Avevo 18 anni, i soliti peccati giovanili con gli 'acid', e mi pareva che presto o tardi sarei finito in un manicomio. Altro pericolo che oggi non corro più. Uno non è pazzo, è tenuto, o si tiene, per pazzo, in rapporto a un comportamento diverso dal suo. Ci vuole un termine di paragone, come per stabilire se un uomo è sessualmente virile, o meno. Adamo non pensava di se stesso «sono tanto virile», perché non aveva termini di paragone. Per lo stesso motivo, io non posso impazzire.


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lunedì 18 maggio 2020

La ragazza di Marsiglia / Maria Attanasio

La ragazza di Marsiglia / Maria Attanasio. - Palermo : Sellerio, 2018 (La memoria ; 1097. -  386 p. ; 17 cm.

Incipit: 
Se avesse potuto, l'uomo che sul molo B del porto di Palermo attendeva nervosamente d'imbarcarsi non avrebbe mai messo piede su un vapore, tantomeno su un veliero; ma alle vie del mare non c'erano alternative, postali, paquebot, e private imbarcazioni erano i mezzi di trasporto più sicuri e veloci.
E, per quell'uomo, sempre un continuo tormento. Costretto nell'ultimo decennio a fare la spola tra Napoli e Palermo; e talvolta, a dorso di mulo o in oscillanti portantine, a prolungare il suo viaggio fino a Ribera per salutare i suoi e recuperare qualche soldo.
Aveva accanto a sé un baule. Piccolo ma pesantissimo: poca biancheria, documenti, tanti libri; tra essi, il più caro, Prose politiche, che raccoglieva gli scritti di Mazzini su repubblica, patria, internazionalismo."


L'unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille, compagna e moglie, poi ripudiata, di Francesco Crispi. 




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lalettricecontrocorrente.it/recensioni
Video intervista Maria Attanasio
it.wikipedia.org/wiki/Rosalia_Montmasson
noidonne.org/articoli
Intervista audio

venerdì 8 maggio 2020

L'animale femmina / Emanuela Canepa

L'animale femmina / Emanuela Canepa. - Torino : Einaudi, 2018 (Einaudi. Stile libero big). -  259 p. ; 22 cm.

Incipit

"La donna che stira ossessivamente è mia madre.
Fa il primo giro di lenzuola piegandole a metà per il lato della lunghezza. Le appoggia sull’asse e lascia che scivolino come la pasta all’uovo quando viene fuori dal rullo. Prima le stende con le mani, liscia le pieghe, anche le minime imperfezioni, poi preme il ferro con energia, come se il lenzuolo si fosse macchiato di qualche colpa che ora deve espiare. Davanti e dietro; da cima a fondo, e in senso contrario, risalendo verso l’alto.
Si allontana, le guarda, sospira.
Ha sempre avuto il passo pesante, il gesto imperioso, la concentrazione livida di quelli che hanno in mente uno scenario definito nei dettagli prima di mettersi all’opera, e non ammettono variazioni rispetto al pronostico. Per mia madre la parola resilienza è una bestemmia, e la forza di carattere si misura dalla tenacia con cui ti opponi alla vita e la prendi per le corna schiacciandole il muso a terra finché non ti dà esattamente tutto quello che ti aspetti. Se questo non succede, e non succede quasi mai, è l’inferno.
Si avvicina di nuovo all’asse da stiro, piega le lenzuola e riduce la superficie della metà.
Ricomincia da capo: una fascia per volta. Le distende con le mani, preme il ferro davanti e dietro, si allontana, sospira, torna. Lo piega ancora, e riprende".


Buona la prima parte, meno la parte finale.

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lunedì 4 maggio 2020

Mythos / Stephen Fry

Mythos / Stephen Fry ; traduzione di Guido Calza. - Milano : Salani, 2018. - 468 p. ; 21 cm