lunedì 1 novembre 2021

Volevamo cambiare il mondo /a cura di Roberto Biorcio e Matteo Pucciarelli


Volevamo cambiare il mondo : storia di Avanguardia Operaia, 1968-1977 / a cura di Roberto Biorcio e Matteo Pucciarelli. - Milano ; Udine : Mimesis, 2021 (Mimesis Passato Prossimo, 63). - 297 p. : ill. ; 21 cm.

Il titolo è la dichiarazione di una sconfitta, al di là delle buone intenzioni e di alcuni aspetti positivi dell'impegno di molti di noi. Sono gli anni centrali della mia vita dai 21 ai trent'anni e tutto ciò che è accaduto in quel periodo mi ha segnato profondamente. Una larga minoranza di giovani, come me, ha vissuto con intensità quegli anni all'interno di movimenti politici, nel mio caso AO, che hanno assorbito tutto il loro tempo.

Il libro raccoglie molte interviste ad ex "militanti" (anche questa parola sembra ora strana) e poche sono autocritiche o parzialmente critiche. Prevale la nostalgia della giovinezza che tinge di rosa molte vicende che, a distanza, dovrebbero essere osservate con maggiore oggettività. Ho segnato qualche punto tra le pagine del libro. Alcuni prendono le distanze dallo stalinismo ed è vero che AO era leninista, ma si dimentica che nei cortei si gridava "W Lenin, W Stalin, W Mao Tse Tung"". Anche la visione di un "Lenin buono", contrapposto ad uno "Stalin cattivo" era una notevole forzatura, alla luce di innumerevoli e facilmente consultabili fonti chiarificatrici. In realtà, a distanza di anni, non riesco a capire come dei giovani di belle speranze, figli del dopo guerra, consapevoli della forza della loro giovinezza siano caduti, dopo una fase di originale ribellione creativa del primo '68, in una ideologia vecchia come quella espressa dal comunismo dell'ottobre sovietico. Del leninismo in AO si riproduceva la massima disciplina e il centralismo democratico, ma è difficile, con questi presupposti, essere aperti alle istanze della società e non cadere nelle devi azioni leaderistiche. C'era una specie di schizofrenia: si parlava di rivoluzione (di insurrezione non mi pare), ma non ci si credeva poi tanto. "Padroni borghesi, ancora pochi mesi" e slogan simili venivano gridati con rabbia nelle manifestazioni, ma pochi in realtà ci credevano. La rivoluzione era un evento mitico. Inoltre, tra le diverse formazioni extraparlamentari non c'era collaborazione, ma, al contrario, molta rivalità, che in certi momenti si esprimeva anche fisicamente per prendere la testa dei cortei. Sembravamo simili a coloro che vissero ai tempi del primo cristianesimo e delle eresie: ogni gruppo rivendicava la propria verità e considerava eretici (fuori linea) tutti gli altri. "Rivalità demenziale" ha detto un intervistato.

Ma la cosa da cui bisognerebbe veramente, sia pure in ritardo, prendere la distanza con una certa vergogna è l'uccisione di Sergio Ramelli. In una testimonianza FF scrive: "Ramelli era un picchiatore fascista pericoloso, nei mesi precedenti aveva malmenato e minacciato dei compagni. Si decise di dargli una lezione così mi fu raccontato. Avevamo mandato la squadra del Sdo [Servizio d'ordine] di Medicina, una delle meno esperte. Ramelli era addestrato, palestrato, E i nostri per non soccombere hanno picchiato troppo duro" (pag. 42).

Racconto vergognoso, quasi giustificatorio ("pericoloso", "aveva malmenato", "palestrato", "picchiatore", "per non soccombere"). Presenta un'aggressione ad un ragazzino quasi come un atto di legittima difesa. Ma la cosa più stupefacente è: "così mi hanno raccontato". Dopo tanti anni e un processo non si può restare attaccati a versioni giustificatorie. No, non mi riconosco in quei "nostri compagni". Per fortuna nel 1977 (ma ormai anche AO era nella fase finale) si decise di sciogliere il servizio d'ordine, anche per "evitare che alcuni dei suoi componenti fossero attirati dalla lotta armata" (p. 42).

Alcuni spunti critici sono condivisibili:

"Forse si poteva pensare a un rinnovamento del paradigma comunista e forse pensare a una forma un po' diversa di partito ... Avremmo dovuto essere diversi, ma avevamo in testa l'idea della tradizione comunista, quella di un partito di quadri selezionati molto identitari, disciplinato, con il rischio alla fine di essere impermeabile alla realtà in rapida mutazione". (Emilio Molinari, p. 49).

Parole che condivido totalmente che coincidono con quanto avevo segnalato: la ripresa del "paradigma comunista"  e della "tradizione comunista", come peccato originale alla base di AO e di molti altri gruppi di allora, organizzazioni chiuse e ideologicamente fideistiche. Certo "avremmo dovuto essere diversi", più creativi, più aperti alla ricerca di nuove strade.

Del resto, gli aspetti positivi, che pure vi furono, come la richiesta di una maggiore rappresentanza nei consigli di fabbrica, alcune proposte di democratizzazione nella scuola, nella sanità, nella giustizia, nell'esercito, gli interventi nel sociale erano aspetti che mettevano tra parentesi l'ideologia rivoluzionaria.

Marco Manzoni, allora studente scrive: "il 1968 è stata una cosa epocale. Un limite dei gruppi forse è stato che hanno messo il cappello sui movimenti, con la loro piccola burocrazia e la troppa ideologia che ha fatto fuori le spinte ideali più spontanee". Del tutto condivisibile, toglierei solo il "forse".

Per quanto riguarda l'Università, il riformismo è stato abbandonato subito, nell'attesa che la rivoluzione sistemasse tutto. Finché non cambia la società, con la fine del capitalismo, né la scuola, né nessuna altra istituzione potrà cambiare, così si diceva. 

Scrive Vittorio Sforza: "... Non è che volevamo abbassare il livello della preparazione [con la scusa della lotta all selezione meritocratica], ma eliminare i meccanismi selettivi che condizionavano la formazione delle persone e non permettevano di studiare in modo adeguato. Volevamo abolire le lezioni cattedratiche, perché con 200 persone l'interazione col docente è impossibile, volevamo gruppi di studio con massimo 25 studenti. Gli esami erano esami, non volevamo gli esami di gruppo" (p. 110).

Sono proposte riformiste, condivisibili, anche se nel calderone delle lotte, si manifestarono furbizie come gli esami di gruppo, il 30 politico, il rifiuto di qualsiasi selezione, l'immissione in ruolo di insegnanti senza concorso, ecc. Tirando in ballo "l'oppressione capitalista della scuola", che si manifesta nella selezione, si annullavano del tutto le spinte verso istanze riformiste realizzabili.

Ci sono molte cose da salvare, nonostante le premesse leniniste, che per fortuna, spesso, nell'attività concreta venivano rimosse. Aspetti positivi si manifestarono nella battaglia femminista, con la presa di coscienza delle compagne riguardo all'ineguaglianza e alla discriminazione di genere, ai diritti alla salute, al tema del divorzio e poi dell'aborto. Non a caso fu grazie (o per colpa secondo qualcuno) al risveglio femminista che AO andò letteralmente in crisi.

Anche sul terreno delle lotte sociali emersero molte spinte positive, attraverso le lotte per la casa, contro il caro affitti e il caro bollette, ecc. Ma siamo sempre sul terreno riformista, sia pure accompagnato da lotte e mobilitazioni al confine dell'illegalità come le occupazioni. Un altro aspetto positivo furono le rivendicazioni per la democratizzazione dell'esercito e della polizia, attraverso il movimento dei "proletari in divisa", che mise in risalto i temi della mancanza di diritti e di democrazia in queste istituzioni.

In conclusione, più che cambiare il mondo sarebbe stato meglio proporsi di migliorarlo (ma ricordo che allora "migliorismo" era una brutta parola per i rivoluzionari). "Avremmo dovuto essere diversi" ha detto qualcuno. E' facile dirlo con il senno di poi, ma è la cosa che più condivido. Bisognava trovare un'altra strada, più creativa, senza guardare i fossili del comunismo novecentesco che già allora dimostrava di aver fallito e di essere un morto che cammina. Ma avevamo vent'anni, troppo sicuri di noi, disponibili alle avventure, attratti da parole che ci sembravano entusiasmanti come "rivoluzione", spregiatori del riformismo.