giovedì 22 dicembre 2016

La scuola cattolica / Edoardo Albinati.


La scuola cattolica / Edoardo Albinati. – Milano : Rizzoli, 2016. –  1294 p. ; 20 cm.

Incipit
Fu Arbus ad aprirmi gli occhi. Non che prima li tenessi chiusi, ma di quello che i miei occhi vedevano non potevo affatto essere sicuro, forse erano immagini proiettate per illudermi o rassicurarmi, e io numero capace di nutrire dubbi sullo spettacolo che mi veniva offerto ogni giorno e che viene chiamato la vita.  Da una parte accettavo senza discutere tutto ciò che tocca in sorte a un ragazzino di tredici, quattordici, quindici anni degli altri anni in fila che servono per portare a compimento quella “fase” (l’ho sempre sentita definire come una ” fase”, un ” momento”, anche se può durare allungo, un “momento delicato”, o addirittura una “crisi”, a cui per la verità seguiranno altri momenti e fasi altrettanto delicate o critiche, avvicendandosi l’una dopo l’altra senza intervalli fino a quando uno è grande, adulto, vecchio, e infine morto),  mi cibavo senza far storie alla mensa quotidiana dove vengono apparecchiate le cose che accadono a qualsiasi adolescente, gli affari in cui è immerso e intanto cresce, si sviluppa (ecco “sviluppo”, altra parola-chiave usata degli adulti per scardinare i lucchetti dell’adolescenza, la difficile “età dello sviluppo”, lo “sviluppo della personalità”, e poi l’orribile espressione in transitiva “ha sviluppato”, che sigilla con una ceralacca untuosa i segreti genitali) magari senza un preciso ordine, ma che formano riportate immancabili del pasto  di un adolescente: la scuola, il calcio, gli amici, le frustrazioni, le eccitazioni, il tutto punteggiato da telefonate e rifornimenti di benzina e cadute dal motorino – insomma esperienze comuni.
Dall’altra parte però, venivo punto  da un sentimento the perplessità. Era proprio questa, la vita? Cioè, era la mia vita? Dovevo fare qualcosa perché fosse mia, o mi veniva fornita e garantita così? Me la dovevo guadagnare o meritare? Forse era provvisoria, e presto sarebbe stata sostituita da quella definitiva. Ma in questo caso dovevo cambiarla io o ci avrebbe pensato qualcun altro? Un evento esterno? La vita può essere un fatto straordinario o normale. La mia di che tipo era? Fino a quando non entrò Arbus nella storia, queste domande, che ora sono perlomeno in grado di formulare, pur avendo del tutto abbandonato la pretesa di rispondervi, non affioravano nemmeno, si dissolvevano prima di arrivare alla superficie della mia coscienza, lasciando sono un leggero  tremore.

Già dall’incipit, si percepisce il tono disincantato e spesso cinico di questo libro, che rifugge dei luoghi comuni e dalle valutazioni scontate.
È difficile fare una recensione sia per la quantità del testo, sia per la sua strana forma. Non è, infatti, romanzo, anche se ci sono delle parti narrative, delle storie. In particolare, c’è il famoso delitto del Circeo (DdC), che appare e scompare nei numerosi capitoli, ma che è sempre presente sullo sfondo e viene usato dall’autore come lo specchio di un’epoca, di un quartiere, ma forse, più in generale, dell’Italia degli anni ‘60 e ’70.
Altre storie riguardano la gita della famiglia Rummo intorno al lago, con la tragica morte della bambina Giaele, le vacanze a Punta Ala con Max, l’amico fascista, gli episodi di vita scolastica, l’esperienza con i carcerati a Rebibbia.

Quindi, i luoghi sono Roma, in particolare l’istituto San Leone Magno (SLM) e il quartiere Trieste (QT), poi Punta Ala, luogo delle vacanze estive, Lavarone, per la settimana bianca, il Circeo, naturalmente, e il carcere di Rebibbia.

Ci sono numerosi personaggi nel testo, ma tutto ruota intorno a Edoardo Albinati, perché è della sua vita, delle sue esperienze e dei suoi luoghi che parla il libro. Ci sono, poi, i compagni di scuola: Arbus, il più importante, il genio della scuola, l’amico di riferimento; Rummo, lo psichiatra cattolico; Jervi, il compagno ricco destinato ad una tragica fine; Pierannunzi, figlio di un giocattolaio, di una mascolinità sovrabbondante; Marco Lodoli, con l’episodio della rottura degli occhiali; Zarattini, il più esile ed effeminato; Zipoli, che usava un quaderno per tutte le materie, cancellandolo ogni anno; Chiodi, sadico e poi suicida; Crasta, detto Bradipo, che si infilava il cappuccio della bic nell’orecchio; Picchiatello, detto Pik, autistico, il bersaglio di tutta la classe; Marco d’Avenia, al centro di un episodio sadomaso; Ferrazza, il fascista “forgiato”; Regazzoni, che con le sue e-mail cercherà invano di riunire tutti i compagni di classe.

I professori del SLM: fratel Gildo, professore di filosofia, meticoloso e freddo, fa lezioni ripetitive e noiose; Svampa, professore omosessuale di chimica, vittima di un tremendo scherzo degli allievi; De Laurentiis,  napoletano, professore di lettere antiche, cultore di musica greca; Mr. Golgota, professore laico di religione, in una scuola cattolica, vittima di continue prese in giro; il Preside, dagli occhiali scuri, temuto dagli allievi; Cosmo, il più importante, quello che più ha segnato la vita di Edoardo e di Rummo. Cosmo morirà assistito da un’infermiera e da Rummo e lascerà dei quaderni con pensieri sparsi, riportati nei capitoli finali del testo.

Importanti sono anche i vari professori di ginnastica: fratello Curzio, scoperto mentre andava a prostitute, viene poi sostituito; Tarascio, professore maschio, muscoloso e rugoso, meridionale, sempre in canottiera; “Courbet”, professore al Giulio Cesare, pittore di nudi, con cui si affrontano temi sessuali nel suo atelier; Caligari, istruttore di nuoto, vuol fare diventare delle statue i suoi allievi.

I preti: fratel Barnaba, addetto alla piscina e alle attività extra scolastiche, il “prete intelligente”; padre Edoardo, della parrocchia di Sant’Agnese, conosciuto in occasione della benedizione della casa dell’autore; padre Marenzio, al centro di un episodio ambiguo, durante la vacanza a Lavarone.

Poi ci sono le donne: cosa più importante è Leda (Perdìta), la sorella di Arbus, “fuoco di Sant’Antonio della mia giovinezza”; Bettina, la ragazza tedesca diciottenne, conosciuta in Spagna e poi rivista a Roma; Rosetta Mauri, detta Rosi, la ragazza bionda innamorata, ma non ricambiata, di Jervi; Romina, la bellissima sorella di Jervi; Ilaria, la mamma di Arbus; la mamma di Pik, un’attrice somigliante a Lucia Bosè, al centro delle fantasie adolescenziali dell’autore.
Infine, i tre protagonisti del DdC, Angelo, il Legionario e Subdued, anch’essi legati alla scuola cattolica del SLM, oltre a vari personaggi del sottobosco fascista come Cassio Majuri, uno spacciatore che sarà la fine giustiziato dai suoi camerati, in occasione di un finto stupro di gruppo.

I temi
Il delitto del Circeo, di cui in parte ho già parlato.
La scuola cattolica, naturalmente.
Il cattolicesimo, nei suoi vari aspetti: Gesù, Dio, la preghiera, la Messa, la Confessione, I ritiri spirituali, il masochismo, il peccato.
La sessualità: l’omosessualità, la sensualità, la libertà sessuale e la repressione, lo stupro, la virilità e la femminilità, la psicanalisi, l’eccitazione, la verginità, il corpo maschile il femminile.
La borghesia: la classe media, l’educazione borghese, la famiglia, il matrimonio e il patrimonio, l’eredità, l’autorità, la distinzione, il gusto.
L’adolescenza: il cameratismo, la violenza, la crudeltà, il linguaggio, la morte, l’amicizia.
La politica: il fascismo, la sinistra extraparlamentare, la violenza politica.
Il carcere.
La musica.
Il cinema.
La droga.

Alla fine, penso di aver capito che libro è questo: è un insieme di pensieri che si possono leggere anche aprendo le pagine a caso, è uno Zibaldone moderno.
Ma è anche un contro Cuore, cioè un libro Cuore postmoderno, cinico e crudele, ma sempre appassionato e sincero.

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In chi ha vissuto quegli anni, nella propria adolescenza e giovinezza, questo libro suscita confronti e ricordi, come se l’adolescenza di Albinati fosse una fonte di calore che, messa vicino alla propria, trasmettesse parte di questo calore, in modo da risvegliare e far emergere più nitidamente la propria memoria.

Link
internazionale.it/opinione/christian-raimo
formiche.net
wuz.it/recensione-libro
www.recensireilmondo.com
ilpost.it
letteratura.rai.it
lastambergadeilettori.com








venerdì 9 dicembre 2016

Viaggio in Siria / Gertrude Bell

Viaggio in Siria / Gertrude Bell ; prefazione di Ettore Mo ; [trad. di Lucia Palianti]. - Vicchio di Mugello : Polaris, c2014. - 332 p. : ill. ; 20 cm. - Tit. orig.: Syria. The desert and the Sown. 

Incipit
Per chi è cresciuto in un ambiente sociale sofisticato, la partenza per un viaggio in luoghi selvaggi è uno dei pochi momenti esaltanti dell’esistenza. Si aprono tutti cancelli del muro di cinta, cade la catena d’ingresso al santuario, si fa un passo in avanti guardando con circospezione a destra e sinistra ed, ecco, si è davanti al mondo sconfinato!
Il mondo dell’avventura e della scoperta, nero di tempeste incombenti, brillante della luce naturale del sole, con domande  insolute e dubbi risolvibili nascosti nelle pieghe di ogni colle. Da soli ci si deve avventurare in quel mondo, via della massa di amici che camminano tra i roseti senza spine. Spogliati dei panni elaborati e raffinati che ostacolano la lotta, senza rifugio, senza difesa, senza alcun bene terreno. La voce del vento sostituirà quella incalzante di chi vuole dare consigli, il tocco della pioggia  e il graffio del gelo saranno sproni più forti della lode o del biasimo e la necessità parlerà con una voce autorevole sconosciuta alla saggezza presa in prestito dall’uomo e seguita o negletta a sua volontà. Così si abbandona il proprio rifugio dorato e, come un personaggio di fiaba alla soglia del sentiero che si stende lungo il tondo contorno della terra, si sentono rompere i legami del proprio cuore.

Un libro che racconta un viaggio nella Siria ottomana, iniziato nel febbraio del 1905, di una signora inglese, Geltrude Bell, studiosa di archeologia, che divenne una protagonista, per la sua conoscenza dei luoghi e delle popolazioni, della politica medio-orientale inglese, dopo la fine della I Guerra mondiale, quando francesi e inglesi tracciarono i confini dei nuovi Stati, nati dalla disgregazione dell’Impero ottomano (Sykes e Picot).
Un libro per chi ama la Siria e vuole ripercorrere le tappe di un viaggio tra le rovine lasciate dagli ittiti, dai romani e dai crociati. Tracce e rovine forse ormai perdute e, comunque, irreparabilmente diverse da quelle scoperte da Geltrude Bell nel lontano 1905.
Oltre alle rovine descritte nel testo e, in parte, riprodotte dalle fotografie in bianco e nero dell’autrice, il libro racconta la varietà delle popolazioni che vivevano più o meno pacificamente (vi erano frequenti razzie e scontri tra tribù e popolazioni) in quella terra: arabi, drusi, circassi, armeni, curdi, yazidi. Convivevano diverse religioni: musulmana, ortodossa, cattolica, ebraica, ismailita.
C’erano anche gli yazidi, diventati tristemente famosi per le persecuzioni di cui sono stati recentemente vittime in Iraq, da parte dei terroristi dell’Isis. Già allora I “maomettani” li chiama
vano “adoratori del diavolo”, ma Geltrude Bell li considera “gente innocua e ben intenzionata”.
Molto interessante, anche i fini della comprensione di ciò che avviene in Irak, è questo passo:

Mi avvicinai all’argomento con cautela mentre eravamo seduti sulla soglia della chiesetta di Kefr Lab, chiedendogli se gli yezidi  avevano moschee o chiese.
"Nessuna delle due", risposte Musa. "Preghiamo all’aria aperta. Ogni giorno all’alba adoriamo il sole".
"Avete un imam che guida la preghiera?"
"Nei giorni di festa lo sceicco guida la preghiera", disse "ma gli altri giorni ognuno prega da solo".
Chiesi ancora: "Siete amici dei  maomettani o loro sono vostri nemici?"

Rispose: "Qui nella zona attorno ad Aleppo siamo in pochi e non ci temono e viviamo in pace con loro; ma ogni anno viene da Mosul  uno sceicco molto erudito a raccogliere i nostri tributi e si meraviglia a vedere che siamo fratelli dei musulmani perché a Mosul dove gli yezidi  sono di più, c’è una forte inimicizia".

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lunedì 21 novembre 2016

Trincee / Carlo Salsa



Trincee : confidenze di un fante / Carlo Salsa ; prefazione di Luigi Santucci. - Milano : Mursia, 2013. - 258 p. , [4] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

Incipit
"Ho allungato una pedata ad una gavetta ed ho schiaffato dentro un tipo arrogante che si conferiva certe arie beffarde. Il soldato è l'attendente dell'aiutante maggiore in prima del Deposito, autorità cospicua, tanto che i comandi si sono fatti diligenti di preservarla da ogni peripezia gloriosa quanto si vuole ma priva di garanzie.
Ieri sera cantante l'aiutante maggiore È rimasta senza attendente: stamane, appena entrato in caserma, ha parlamentato lungamente con lui. Poi è salito al comando; mi è passato dinanzi facendo suonare la guerresca fanfara dei suoi speroni, e mi ha trafitto con un'occhiataccia tremenda. Sono stato invitato a salire dal colonnello.
"Ieri lei dato un calcio alla gavetta di un soldato"
"Signorsì"
"Questo abuso di autorità. Tenga agli arresti"
"Mi duole che non potrò scontarli, poiché stasera dovrò partire per il fonte".
Il colonnello si è ficcata la pancia sotto lo scrittoio, ha acceso una sigaretta, mi ha risposto, senza guardarmi, annoiato e contrariato.
"Non importa. Lei sa che la punizione ha carattere soprattutto morale."

Un libro antiretorico fin dall'inizio, scritto da un ufficiale che ha combattuto nelle trincee del Carso, dove più tragico fu lo scontro.
Al contrario di molte memorie di guerra, quella di Carlo Salsa è la testimonianza di chi è stato nei fronti più caldi, fino alla prigionia durissima a Theresienstadt.
Un libro terapeutico, come altri libri di memorie sulla Grande guerra, per relativizzare i problemi della contemporaneità e per confrontarci con giovani che hanno sacrificato allora giovinezza nel freddo delle trincee, nella sofferenza, nella prigionia e nella morte.
I luoghi dove si svolge la vicenda sono spesso anche i titoli dei capitoli: Palmanova (da dove inizia il viaggio verso il fronte), Chiopris, Sagrado (sulla linea dell'Isonzo), Sdraussina (dove combatteva la Terza armata), San Michele, Bosco Cappuccio, Santa Maria (vicino a Tolmino), Merzli e Vodil, Milano (per una breve licenza), l'Hermada e infine Theresienstadt per la prigionia.
Fin dall'inizio dell'esperienza, il giovane ufficiale si rende conto della misera realtà della guerra, al di là della retorica di chi l'aveva voluta:

"Scendo sulla strada gremita di soldati: una processione interminabile sfila lenta, scendendo all'abitato dalle alture vicine, come una colata limacciosa da una ferita enorme. Passano in silenzio, scollando a fatica i piedi del fango, corteo di miseria, di stanchezza, di patimento".

Poi, nella vita di trincea sperimenta l'imbecillità e l'inadeguatezza dei comandi che ordinano "assalti inutili", minacciando chi cerca di opporsi:
"O lei va all'attacco o io ho il dovere di sparare"
"Ma quello che avvilisce, che demoralizza, che abbatte è di veder morire così, inutilmente, senza scopo. Oh, non si muore per la patria così; si muore per l'imbecillità di certi ordini e la vigliaccheria di certi comandanti".

E, prima degli utili assalti, c'è l'immobilità e l'inedia della vita di trincea:
"Non ci si può muovere; questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe rattratte, i fucili, di cassette di munizioni che s'affastellano, di immondizie dilaganti".
"Durante tutto il giorno nessuno può muoversi; si cerca di sonnecchiare nelle ore di calma; il budello che sale sembra il corridoio di un museo di mummie e di cariatidi".
"I soldati s'ammassano immobili nell'attesa, tra una rastrelliera di fucili, come bestiame stivato".

Per il nemico, con cui a volte si instaurano dei rapporti tra una trincea e l'altra, c'è un sentimento di pietà, perché si condivide la stessa vita di stenti:
"Anche oggi, una colata di prigionieri quaggiù: povera gente logora e frusta, consunta dal patimento, che veniva a noi come ad una liberazione".

Tra la vita di trincea e il mondo lontano delle città non c'è comprensione, due mondi che si ignorano, nonostante i proclami patriottici:

"Mentre gli altri continuano a confabulare, do un'occhiata: è un giornale illustrato, piena di notizie e di fotografie di guerra. C'è una illustrazione ... che mostra un ricovero da trincea ammobiliato come un salotto, pieno di soldati azzimati che brindano e suonano dei mandolini e delle chitarre attorno ad una tavola pingue".

L'incomprensione tra i soldati combattenti e la società civile emerge ancora più chiaramente quando il tenente Salsa va in licenza a Milano, nel capitolo intitolato ironicamente l'Oasi:

"Poi mi si misero ad elencare le ristrettezze che la guerra infliggeva loro, ma alle quali si assoggettavano con alto patriottismo. Non mi chiesero nulla di me, dei miei soldati, delle vicende lassù. Solamente una delle signorine, per trovare un adeguato riscontro alle sue pene cittadine, si ricorda di dirmi d'un tratto: 'Poveretti, chissà come starete a disagio voi, in trincea, quando piove!'
"L'altra signorina intervenne con una irrimediabile nostalgia: 'Che disgrazia non essere uomini! Vorrei poter andare anch'io in guerra".

Due mondi incomunicabili che spiegano il rancore degli ex combattenti nel dopoguerra, abilmente sfruttata dal fascismo, anche per la dabbenaggine delle forze socialiste.

Si prevede anche la retorica postbellica che sarà celebrata da chi la guerra non l'ha fatta e l'ha scampata:
"Verranno ad inaugurare anche i monumenti, il più famoso imboscato farà il discorso, ritirerà in ballo tutto l'armamentario della professione. Poi andranno tutti a Gorizia, e ci faranno sopra una bella scorpacciata".

La crudeltà della guerra è anche quella che colpisce i cosiddetti "disertori", spesso soldati che si erano presi qualche giorno di licenza e, poi erano ritornati, come Mele, un volontario tra l'altro, che "è capitato nelle grinfie di un ufficiale effettivo ed è stato fucilato ... Gli altri disertori, quelli che hanno disertato facendosi imboscare, prosperano".

Infine, c'è la dura esperienza della prigionia, dove gli italiani soffrono la fame e vengono puniti dal Governo italiano, come fossero disertori, lasciandoli senza aiuti alimentari.
"Al campo della truppa, i nostri soldati vengono lasciati morire di fame come per una distruzione sistematica: nessun aiuto giunge dalla patria che sembra aver rinnegato questi combattenti sfortunati, caduti in prigionia durante le prime eroiche offensive del Carso".
"Mentre i prigionieri francesi, inglesi, perfino russi vengono forniti di viveri direttamente dai loro governi, i nostri sono abbandonati così".
"Al campo della truppa, prossimo al nostro, sono concentrati 15.000 soldati: ne muoiono circa 70 al giorno, di fame".

Link
it.wikipedia.org/wiki/Trincee
wikipedia Carlo_Salsa
qlibri.it
www.youtube.com Melania Mazzucco



Trincee / Carlo Salsa


Trincee : confidenze di un fante / Carlo Salsa ; prefazione di Luigi Santucci. - Milano : Mursia, 2013. - 258 p. , [4] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

Incipit
"Ho allungato una pedata ad una gavetta ed ho schiaffato dentro un tipo arrogante che si conferiva certe arie beffarde. Il soldato è l'attendente dell'aiutante maggiore in prima del Deposito, autorità cospicua, tanto che i comandi si sono fatti diligenti di preservarla da ogni peripezia gloriosa quanto si vuole ma priva di garanzie.
Ieri sera cantante l'aiutante maggiore È rimasta senza attendente: stamane, appena entrato in caserma, ha parlamentato lungamente con lui. Poi è salito al comando; mi è passato dinanzi facendo suonare la guerresca fanfara dei suoi speroni, e mi ha trafitto con un'occhiataccia tremenda. Sono stato invitato a salire dal colonnello.
"Ieri lei dato un calcio alla gavetta di un soldato"
"Signorsì"
"Questo abuso di autorità. Tenga agli arresti"
"Mi duole che non potrò scontarli, poiché stasera dovrò partire per il fonte".
Il colonnello si è ficcata la pancia sotto lo scrittoio, ha acceso una sigaretta, mi ha risposto, senza guardarmi, annoiato e contrariato.
"Non importa. Lei sa che la punizione ha carattere soprattutto morale."

Un libro antiretorico fin dall'inizio, scritto da un ufficiale che ha combattuto nelle trincee del Carso, dove più tragico fu lo scontro.
Al contrario di molte memorie di guerra, quella di Carlo Salsa è la testimonianza di chi è stato nei fronti più caldi, fino alla prigionia durissima a Theresienstadt.
Un libro terapeutico, come altri libri di memorie sulla Grande guerra, per relativizzare i problemi della contemporaneità e per confrontarci con giovani che hanno sacrificato allora giovinezza nel freddo delle trincee, nella sofferenza, nella prigionia e nella morte.
I luoghi dove si svolge la vicenda sono spesso anche i titoli dei capitoli: Palmanova (da dove inizia il viaggio verso il fronte), Chiopris, Sagrado (sulla linea dell'Isonzo), Sdraussina (dove combatteva la Terza armata), San Michele, Bosco Cappuccio, Santa Maria (vicino a Tolmino), Merzli e Vodil, Milano (per una breve licenza), l'Hermada e infine Theresienstadt per la prigionia.
Fin dall'inizio dell'esperienza, il giovane ufficiale si rende conto della misera realtà della guerra, al di là della retorica di chi l'aveva voluta:

"Scendo sulla strada gremita di soldati: una processione interminabile fila lenta, scendendo all'abitato dalle alture vicine, come una colata limacciosa da una ferita enorme. Passano in silenzio, scollando a fatica i piedi del fango, corteo di miseria, di stanchezza, di patimento".

Poi, nella vita di trincea sperimenta l'imbecillità e l'inadeguatezza dei comandi che ordinano "assalti inutili", minacciando chi cerca di opporsi:
"O lei va all'attacco o io ho il dovere di sparare"
"Ma quello che avvilisce, che demoralizza, che abbatte è di veder morire così, inutilmente, senza scopo. Oh, non si muore per la patria così; si muore per l'imbecillità di certi ordini e la vigliaccheria di certi comandanti".

E, prima degli utili assalti, c'è l'immobilità e l'inedia della vita di trincea:
"Non ci si può muovere; questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe rattratte, I fucili, di cassette di munizioni che s'affastellano, di immondizie dilaganti".
"Durante tutto il giorno nessuno può muoversi; si cerca di sonnecchiare nelle ore di calma; il budello che sale sembra il corridoio di un museo di mummie e di cariatidi".
"I soldati s'ammassano immobili nell'attesa, tra una rastrelliera di fucili, come bestiame stivato".

Per il nemico, con cui a volte si instaurano dei rapporti tra una trincea e l'altra, c'è un sentimento di pietà, perché si condivide la stessa vita gli stenti:
"Anche oggi, una colata di prigionieri quaggiù: povera gente logora e frusta, consunta dal patimento, che veniva a noi come ad una liberazione".

Tra la vita di trincea e il mondo lontano delle città non c'è comprensione, due mondi che si ignorano, nonostante i proclami patriottici:

"Mentre gli altri continuano a confabulare, do un'occhiata: è un giornale illustrato, piena di notizie e di fotografie di guerra. C'è una illustrazione ... che mostra un ricovero da trincea ammobiliato come un salotto, pieno di soldati azzimati che brindano e suonano dei mandolini e delle chitarre attorno ad una tavola pingue".

L'incomprensione tra i soldati combattenti e la società civile emerge ancora più chiaramente quando il tenente Salsa va in licenza a Milano, nel capitolo intitolato ironicamente l'Oasi:

"Poi mi si misero ad elencare le ristrettezze che la guerra infliggeva loro, ma alle quali si assoggettavano con alto patriottismo. Non mi chiesero nulla di me, dei miei soldati, delle vicende lassù. Solamente una delle signorine, per trovare un adeguato riscontro alle sue pene cittadine, si ricorda di dirmi d'un tratto: 'poveretti, chissà come starete a disagio voi, in trincea, quando piove!'
"L'altra signorina intervenne con una irrimediabile nostalgia: 'che disgrazia non essere uomini! Vorrei poter andare anch'io in guerra".

Due mondi incomunicabili che spiegano il rancore degli ex combattenti nel dopoguerra, abilmente sfruttata dal fascismo, anche per la dabbenaggine delle forze socialiste.

Si prevede anche la retorica postbellica che sarà celebrata da chi la guerra non l'ha fatta e l'ha scampata:
"Verranno ad inaugurare anche i monumenti, il più famoso imboscato sarà il discorso ritirerà in ballo tutto l'armamentario della professione. Poi andranno tutti a Gorizia, e ci faranno sopra una bella scorpacciata".

La crudeltà della guerra è anche quella che colpisce i cosiddetti "disertori", spesso soldati che si erano presi qualche giorno di licenza e, poi erano ritornati, come Mele, un volontario tra l'altro, che "è capitato nelle grinfie di un ufficiale effettivo ed è stato fucilato ... Gli altri disertori, quelli che hanno disertato facendosi imboscare, prosperano".

Infine, c'è la dura esperienza della prigionia, ove gli italiani soffrono la fame e vengono puniti dal Governo italiano, come fossero disertori, lasciandoli senza aiuti alimentari.
"Al campo della truppa, i nostri soldati vengono lasciati morire di fame come per una distruzione sistematica: nessun aiuto giunge dalla patria che sembra aver rinnegato questi combattenti sfortunati, caduti in prigionia durante le prime eroiche offensive del Carso".
"Mentre i prigionieri francesi, inglesi, perfino russi vengono forniti di viveri direttamente dai loro governi, i nostri sono abbandonati così".
"Al campo della truppa, prossimo al nostro, sono concentrati 15.000 soldati: mi muoiono circa 70 al giorno, di fame".

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sabato 1 ottobre 2016

Germinal / Emile Zola

Germinal / Emile Zola ; Introduzione di Ottavio Cecchi ; traduzione di Maria Pia Vigoriti. - eNewton Classici (Ebook).


Incipit:
Nella rasa pianura, sotto la notte senza stelle, scura e spessa come l'inchiostro, un uomo solo seguiva lo stradone che andava da Marchienne a Montsou, dieci chilometri di selciato diritto che tagliava un campo di barbabietole. Davanti a sé, non vedeva neanche la terra nera, e soltanto i soffi del vento di marzo, dalle raffiche ampie come in pieno mare, gelide per aver spazzato intere leghe di paludi e terre nude, gli dava la sensazione dell'immenso orizzonte piatto. Nessuna ombra di albero si stagliava sul cielo, il selciato si stendeva con la precisione di una gettata, in mezzo all'oscurità accecante delle tenebre.
L'uomo era partito da Marchienne verso le due. Camminava a passi ampi, tremando sotto il cotone sottile della sua giacca e del suo pantalone di velluto. Un pacchettino, annodato in un fazzoletto a quadri, gli dava molto fastidio; e lo stringeva contro i suoi fianchi, talvolta con un gomito, talatra con l'altro, per far scivolare in fondo alle tasche entrambe le mani, delle mani rosse che le lamine del vento facevano sanguinare. Un'unica idea occupava la sua testa vuota di operaio senza lavoro e senza alloggio, la speranza che il freddo sarebbe stato meno intenso dopo il sorgere del giorno. Da un'ora camminava così, quando sulla sinistra, a due chilometri da Montsou, scorse dei fuochi rossi, tre bracieri brucianti all'aria aperta, e come sospesi. Inizialmente esitò, preso dalla paura; poi, non poté resistere al bisogno doloroso di scaldarsi un po' le mani.


Incomincia un questo paesaggio scuro e desolato, questo romanzo dagli innumerevoli personaggi  che descrive le condizioni di vita e di lavoro di una comunità di minatori di carbone nella Francia del nord, negli anni di fine '800, quando una nuova classe, il proletariato, si affaccia alla ribalta della storia.
Zolà descrive questo mondo con la precisione che gli deriva dalla scelta del "naturalismo" e dall'influsso della cultura positivistica.
Le descrizioni del lavoro nella miniera sono precise ed efficaci: producono, nel lettore, sensazioni claustrofobiche, sensazioni di freddo e di caldo, facendolo partecipe, quasi fisicamente, di una vita dura, nella quale predomina il buio e la difficoltà di respirare.
Poi c'è il mondo parallelo, al piano superiore, della borghesia, che spesso è cieca di fronte alla sofferenza, che la circonda: prevale l'indifferenza o, nel migliore dei casi, il paternalismo (personaggio di Gregoire).
Quello che più mi ha colpito e sorpreso, è la profonda attualità di questo libro sotto vari aspetti.

- Etienne, il protagonista, è colui che diviene leader della lotta, riuscendo a conquistare inizialmente la completa fiducia degli altri minatori. Eppure Zolà fa capire che non è l'eroe senza macchia e senza paura e che anche in lui ci sono delle debolezze comuni a tutti coloro che, pur partendo da buone e disinteressate motivazioni in nome degli ideali, poi si fanno ammaliare dal fascino del potere e aspirano ad un salto di condizione. "Si imborghesiscono", come avrebbero detto i vecchi sessantottini che di queste vicende se ne intendono.

"Ormai Etienne era il capo incontrastato. Nelle conversazioni serali egli stava diventando una specie di oracolo, man mano che lo studio lo dirozzava. [...] La sua popolarità crescente lo inebriava di una dolcezza deliziosa, Tenere una estesa corrispondenza, discutere della sorte dei lavoratori ai quattro angoli della provincia, dar pareri a tutti i lavoratori del Voreux, e, soprattutto diventare un centro, sentire la gente agitarsi e muoversi intorno a lui, rappresentava un eccitamento per la sua vanità di antico meccanico, di minatore dalle mani grosse e nere. Egli saliva di un gradino, entrava a far parte di quella borghesia esecrata, con soddisfazioni d'intelligenza e di benessere, che non osava neppure confessare a se stesso."

"E il suo sogno di capo popolo lo cullava di nuovo, vedeva Montsou ai suoi piedi, Parigi in un nebuloso avvenire, chi sa? la deputazione, un giorno, la tribuna ed una sala ricca, di dove egli avrebbe fulminato i borghesi, col primo discorso pronunciato da un operaio in un Parlamento."

- Ad Etienne si contrappone il "riformista" Rasseneur, che non condivide la lotta ad oltranza, che porterà poi ad una dura sconfitta e alla perdita di credibilità di Etienne, di fronte alla delusione dei minatori

- L'altra via è quella anarchica di Souvarine, la via nichilista e individualista che mira alla palingenesi totale, attraverso la distruzione e la violenza. Un fondamentalismo che rivive anche nel nostro tempo, in forme diverse, secondo il quale tutti gli altri sono nemici da abbattere, senza alcun compromesso possibile.

"Lasciatemi in pace con la vostra evoluzione! Date fuoco ai quattro angoli della città, falciate i popoli, atterrate tutto, e quando non rimarrà più nulla di questa società imputridita, forse se ne costruirà una migliore."

- Un altro elemento "attuale" è rappresentato dalla figura Deneulin. E' Un padrone indipendente dalla impersonale Società delle miniere, che come in Dio invisibile e lontano, da Parigi governa e determina i destini dei minatori. Cercherà di resistere ai tentativi della Società di incorporare la sua miniera, ma proprio la lotta dei minatori lo porterà alla rovina e, da proprietario, diventerà un semplice dipendente.
Niente di nuovo, dunque. Come ora, anche allora, il potere dei grossi monopoli con la loro forza finanziaria risultava vincente! Anche allora, tra l'altro, c'era la globalizzazione.
"Tutto è concatenato e una scossa, anche lontana, basta a scuotere il mondo" - dice proprio Deneulin,

Tra l'altro, nella lotta proletaria, una mossa intelligente, in una logica riformista, sarebbe stata quella di non alienarsi i padroni piccoli come Deneulin, concentrando gli sforzi contro la Società. Indebolendo Deneulin e portandolo alla rovina, si faceva l'interesse proprio della Società, permettendole di realizzare i propri scopi e di acquisire la miniera de proprietario fallito.
"Come! cinque centesimi! Perché questa richiesta! Io non mi lamento del vostro rivestimento, né voglio imporvi alcuna nuova tariffa come la Società di Montsou" - protesta Deneulin, di fronte alle richieste dei minatori che circondano la sua casa.

Infine, nel corso della lotta, c'è una efficace descrizione della violenza, della brutalità e dell'irrazionalità della folla, quando nessuno è in grado di guidarla. Prevale la violenza gratuita, il desiderio represso di vendetta e le passioni non hanno più argine, lasciando libero campo all'esasperazione e alla crudeltà.

Personaggi:
- Etienne Lanier, 21 anni, "eroe" del romanzo, leader della lotta dei minatori, rivale di Caval, innamorato di Catherine anche se non vuole ammetterlo
- Catherine Maheu, 15 anni, innamorata di Etienne, compagna di Chaval
- Antoine Chaval, 25 anni, amante violento di Catherine, brutale e geloso
- Souvarine, anarchico russo, sabotatore della miniera

I minatori
- La famiglia Maheu, composta da:
il padre Maheu, detto Bounemort, 58 anni, molto malato di silicosi, impazzirà e strangolerà la povera Cecile Gregoire
il figlio Toussant Maheu, 42 anni, coraggioso, bravo lavoratore, muore ucciso dai soldati nel corso della lotta
Constante Maheu, detta la Maheude, moglie di Toussant, 39 anni, donna forte e coraggiosa, dopo la morte del marito e dei sei figli, lavorerà nella miniera
I sette figli: 
Zacharie (21 anni), amante di Philomene Levaque, muore per un'esplosione di grisou, cercando di salvare la sorella Catherine ed Etienne, intrappolati nella miniera
Catherine (15 anni), amante di Chaval, poi innamorata di Etienne al quale si donerà prima di morire nella miniera inondata
Jeaulin (11 anni), maltratta i suoi giovani amici Lydie e Hebert  che utilizza per piccoli furti, aiuta Etienne, dopo la lotta sfortunata e sarà l'assassino del giovane soldato Jules. Tornerà a lavorare in miniera con la madre
Alzire, la piccola malata, che morirà di fame, 9 anni
Lenore, 6 anni
Henri, 4 anni
Estelle, 3 mesi.

- I Levaque (vicini dei Maheu)
Jerome Levaque, 40 anni, brutale e poco intelligente
Angelique, La Levaque, 41 1nni
Philoméne, la figlia, 18 anni, sposa Zacharie
Hebert, figlio, amico maltrattato di Jeaulin, 12 anni
Lous Bouteloup, 35 anni, amante della Levaque

- I Pierron
Françoise Pierron, 30 anni
Suzanne, La Pierronne, 28 anni, amante di Danseart
Lydie, 10 anni
Danseart, amante della Pierronne, 40 anni
La Brulé, 50 anni, madre della Pierronne

- I Mouque
Mouque, il padre, 50 anni
Mouquet, 22 anni
La Moquette, per un periodo amante di Etienne, 18 anni

Rasseneur, ex minatore, socialista moderato, proprietario di una taverna

La borghesia

- Gli Hennebeau
Philippe Hennebeau, direttore generale delle miniere di Montsou, 48 anni
Blanche Hennebeau, la moglie, amante dell'ingegner Negrel, 40 anni
Paul Negrel, ingegnere, amante di Blanche, fidanzato di Cecile Gregoire, 18 anni

- I Gregoire (miniera di Montsou)
Leon Gregoire, 60 anni
Amelie Gregoire, la moglie, 58 anni
Cecile Grégoire, la figlia, fidanzata di Paul Negrel, 18 anni

- I Deneulin
Victor Deneulin, proprietario di miniere, 50 anni
Lucie, figlia musicista, 22 anni
Jeanne, figlia pittrice, 19 anni:

Links
it.wikipedia.org/wiki/Germinale_(romanzo)
fr.wikipedia.org/wiki/Germinal_(roman)
seieditrice.com/chiaroscuro
dearmissfletcher
espacefrancais.com/emile-zola-germinal-1885/
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