sabato 31 luglio 2010

Dopo molte estati / Aldous Huxley


Ho comprato questo libro in una libreria antiquaria, essendo irreperibile nelle biblioteche vicine. Era il libro citato dal protagonista del film "A single man" di Tom Ford. Chissà perché mi aveva colpito. Me lo sono procurato e non sono pentito.


Incipit:
Avevano stabilito tutto per telegramma: Geremia Pordage doveva cercare un autista negro in uniforme grigia con un garofano all'occhiello; l'autista negro doveva cercare un inglese di mezza età che portava in mano le Opere poetiche di Wordsworth. Sebbene la stazione fosse affollata, si trovarono senza difficoltà.
"L'autista del signor Stoyte?"
"Il signor Pordage""
Geremia annuì e, col suo Wordsworth in mano e l'ombrello nell'altra, tese un poco le braccia, un gesto di manichino implorante, che esibisse, con piena e umoristica coscienza dei propri difetti, una figura meschina, accentuata dal più ridicolo fra i vestiti. "Eccomi" pareva voler dire "eccomi qui, povere cosa, ma così sono io". Il diminuirsi come misura difensiva e per così dire profilattica, era diventato un'abitudine per lui".

Il romanzo è ambientato a Los Angeles, con riferimenti a Beverly Hills (qui tradotto "colline Beverly") e ad Holliwood. Inizia con l'arrivo a Los Angeles di Geremia Pordage, uno studioso inglese, su invito di un ricco magnate, Beppe Stoyte, per schedare un vecchio archivio di una famiglia nobliare inglese.
Beppe Stoyte in realtà non è affatto interessato alla cultura. Se ne serve solo per esibire la sua enorme ricchezza. Vive in una specie di castello (che Pordage chiama "l'Oggetto" e che ha ispirato quello di Citizen Kane nel film di Orson Wells), pieno di opere d'arte (addirittura un Vermeer nell'ascensore). Beppe - meglio Joseph (ma qui i nomi di questa vecchia traduzione sono tutti italianizzati) - è ossessionato dalla morte ed è vittima inconsapevole del suo consulente medico, il dottor Obispo, che sfrutta la paura del magnate per spillargli denaro e per poter fare ricerche sulla longevità. Per i suoi esperimenti studia le carpe che vivono centinaia di anni, con lo scopo di scoprire il loro segreto e di utilizzare i risultati per aumentare la durata della vita umana. Obispo approfitta della sua influenza su Stoyte per amoreggiare con la sua bimba amante, Virginia, una ragazza facilmente corrompibile, nonostante la sua superficiale fede nella Madonna. Le ricerche di Obispo sulla longevità delle carpe troveranno una conferma nelle carte consultate da Pordage, in particolare nel diario di un vecchio nobile inglese che racconta la sua esperienza e la scoperta del potere vitale ottenuto mangiando gli intestini di questo pesce.
Altri personaggi, non secondari, sono Pete, vittima innocente delle gelosia di Slyte, e Propter, il filosofo che vive in maniera semplice e indipendente. Sono i dialoghi tra Pete e Propter e, soprattutto, i lunghi discorsi di Propter che percorrono il romanzo nella parte filosofica. La filosofia di Propter è una vera e propria filosofia stoica: "liberazione dalla personalità, liberazione dal tempo e dalla brama, liberazione dentro l'unione con Dio". In particolare - e questa è la parte più interessante - la lotta per affermare gli ideali, secondo Propter, non è altro che una forma, ancora più pericolosa, di affermazione dell'ego.
"Il sacrificio di se stesso ad una causa che non sia la più alta è il sacrificio a un ideale, che è semplicemente una proiezione dell'ego"
Propter vede che il male pervade il mondo e sembra quasi suggerire una posizione di "non impegno", di azioni limitate, senza avere la pretesa di imporre il bene. Alla fine del romanzo sembra che il male prevalga sul bene: c'è un assassinio non punito e un colpevole che la fa franca. Ma Propter direbbe che ciò è indifferente: il male è parte dell'uomo e, finché l'uomo non riuscirà ad affermare il piano dell'animalità e quello della spiritualità (contrapposti al piano dell'umanità), non ci sarà nulla da fare e la morte di Pete, sul piano generale ella vicenda umana, è solo un accidente.

Il testo è molto scorrevole, con qualche lungaggine nella parte "filosofica". Bellissima la lettera che Geremia scrive alla madre, nella quale ci offre un interessante quadro di rapporto edipico, accettato e consapevole, anzi rivendicato con orgoglio (Parte II, cap. 1). Riporto solo la parte finale della lettera, ma varrebbe le pana di leggerla tutta:
"Bene, non ho altro da dire, come solevo scrivere quando ero a scuola - e a caratteri grandi, ricordate?, nello sforzo di far sì che le parole riempissero una mezza pagina del quaderno. Non ho altro da dire, tranne, naturalmente, l'indicibile, e quello lo lascio non detto perché voi lo conoscete già".
E' una bella frase anche per concludere questa nota.

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