lunedì 5 settembre 2022

Babilonia / Yasmina Reza


Babilonia / Yasmina Reza ; traduzione di Maurizia Balmelli. - Milano : Adelphi, 2017 (Fabula ; 318). - 157 p. ; 22 cm.


Incipit:

È in piedi appoggiato a un muro, per strada. In giacca e cravatta. Ha le orecchie a sventola, uno sguardo spaventato, capelli corti e bianchi. È magro, con le spalle strette. Tiene in bella mostra una rivista su cui si legge la parola «Awake». La didascalia dice: Jehovah’s Witness – Los Angeles. La foto è del 1955. Aveva l’aria di un ragazzino. Ormai è morto da tempo. Per distribuire i suoi opuscoli religiosi si vestiva in modo consono. Era solo, abitato da una perseveranza triste e rabbiosa. Ai suoi piedi s’intravede una cartella (se ne scorge il manico), con dentro le decine di opuscoli che nessuno o quasi gli prenderà. Sono anche quegli opuscoli stampati in numero incongruo a evocare la morte. Quegli slanci di ottimismo – troppi bicchieri, troppe sedie... – che ci inducono a moltiplicare le cose per renderle subito vane. Le cose e i nostri sforzi. Il muro davanti al quale si trova è gigantesco. Lo si intuisce dall’opacità greve, dalle dimensioni delle pietre tagliate. Probabilmente è ancora lì, a Los Angeles. Il resto è svanito chissà dove: l’omino con l’abito troppo largo e le orecchie a punta che gli si era piazzato davanti per distribuire una rivista religiosa, la sua camicia bianca e la cravatta scura, i pantaloni consumati al ginocchio, la cartella, gli opuscoli. Che importa quello che siamo, quello che pensiamo, quello che diventeremo? Siamo da qualche parte nel paesaggio fino al giorno in cui non ci siamo più. Ieri pioveva. Ho riaperto The Americans di Robert Frank. Era perso nella libreria, incastrato nell’angolo di uno scaffale. Ho riaperto quel libro che non aprivo da quarant’anni. Ricordavo il tizio che vendeva una rivista per la strada. La foto è più sgranata, più sbiadita di quanto mi aspettassi. Volevo riguardare The Americans, il libro più triste del mondo. Morti, stazioni di servizio, uomini soli con in testa un cappello da cowboy. Sfogli le pagine e sotto gli occhi ti sfilano i juke-box, i televisori, gli oggetti della recente prosperità. Sono lì, solitari come l’uomo, questi nuovi venuti sovradimensionati, troppo pesanti, troppo luminosi, posti in spazi impreparati. Un bel mattino qualcuno li porta via. Faranno ancora un giretto, sballottati fino alla discarica. Siamo da qualche parte nel paesaggio fino al giorno in cui non ci siamo più. Mi è tornato in mente lo Scopitone del porto di Dieppe. Partivamo con la due cavalli, alle tre del mattino, per andare a vedere il mare. Avrò avuto al massimo diciassette anni e ero innamorata di Joseph Denner. Eravamo in sette a bordo e il culo dell’auto toccava terra. Ero l’unica ragazza. Denner guidava.


Passi

Camere

“Nella mia vita le camere mi hanno spesso abbattuta. Camera di bambina. Camere d’ospedale. Camere d’albergo con una brutta vista. È la finestra che fa la camera. Lo spazio che ritaglia, la luce che lascia entrare. E poi le tende. I tendaggi! Nella mia vita sono stata in ospedale tre volte, contando il parto. “Ogni volta la camera d’ospedale mi ha abbattuta, con i suoi finestroni vagamente opacizzati che rivelavano un blocco simmetrico rispetto a quello in cui ero, dei rami o un cielo incongruo. Ogni volta la camera d’ospedale mi ha tolto ogni speranza. Anche con accanto il bebè nella sua culla di vetro.”

La donna deve essere allegra

“La donna dev’essere allegra. A differenza dell’uomo, a cui sono concessi lo spleen e la malinconia. A partire da una certa età, una donna è condannata al buonumore. Se tieni il broncio a vent’anni è sexy, se tieni il broncio a sessanta è una rottura di palle. Quando ero giovane, non si diceva creare legame, non so a quando risalga questo singolare. Né cosa voglia dire; il legame ridotto alla sua astrazione non ha alcun valore in sé. È l’ennesima espressione vacua.”

Le cose lasciate da chi muore

“Una donna lavora all’uncinetto per tutta la vita e lascia dietro di sé questi scampoli che non servono a niente e a nessuno. Inventava dei motivi ma a nessuno gliene importa. A chi volete che interessino dei motivi all’uncinetto? La morte si porta via tutto ed è un bene. Bisogna fare spazio a chi arriva. Nella nostra famiglia l’abbiamo fatto in maniera radicale. Il modello biblico, il tal dei tali padre di tal dei tali che ha generato tal dei tali, a casa nostra non esiste. In nessun ramo della famiglia. ”

“Svuotando la casa di nostra madre abbiamo ritrovato in un cassetto tutto il suo materiale da ufficio. Risaliva ad anni prima, al tempo in cui teneva la contabilità di Sani-Chauffe. “Un astuccio con una riga, una Bic a “quattro colori, delle graffette, un blocco di carta perfettamente conservato, un paio di forbici pronte a tagliare per altri cent’anni. Gli oggetti sono bastardi, ha detto Jeanne. Ho di nuovo chiesto a Jean-Lino che cosa fosse successo.”

La morte

“Nessuno ci avverte dell’irrimediabile. Non c’è un’ombra furtiva che passa con la falce.”

San Michele a Venezia

“Penso spesso al cimitero di San Michele a Venezia. Visitato con Pierre e Bernard, quasi solo noi, un nebbioso giorno di novembre. San Michele, dedalo infinito di recinti, unità, lotti, campi. Un’intera isola di tombe. I corridoi del colombario: muri interamente ricoperti di foto accanto a vasi murali da cui spuntano fiori finti. Centinaia di foto di gente benvestita e pettinata che sorride ammiccando. Ci eravamo persi a girovagare senza meta e senza incrociare nessuno. Era ora di pranzo, in settimana. Su una stele c’era questa iscrizione, «Sarai sempre con noi, con amore, la tua Emma». La sfacciataggine della frase mi ha colpito. Come se ci fosse qualcuno che sulla terra ci resta in eterno. Come se i due mondi fossero destinati a rimanere separati. Nella sezione delle urne c’era un muro dei dimenticati. Una parete sporca e grigia. Le date e i nomi erano pressoché cancellati. Su una lapide più chiara si riusciva ancora a leggere millenovecentocinque. Nessuna foto, da nessuna parte, non c’era niente, salvo una o due escrescenze di fiori di porcellana fissati alla lastra. Quella gente non era più con nessuno, in questo mondo."

Protezione

“Mi ha ricordato quelle capanne che si fanno da bambini. Ci sistemiamo tutto vicino, soffitto, pareti, oggetti, corpi, bisogna che lo spazio sia il più ridotto possibile. Finché il mondo esterno è visibile soltanto da una fessura mentre fuori si scatenano tuoni e fulmini.”

Ansia di anticipazione

“Era, mi sono detta scrutando il parcheggio cupo, il delirio dell’ansia di anticipazione che assale i vecchi. Essere stressati dalla possibilità del problema. Mia madre tirava fuori il biglietto dell’autobus duecento metri prima della fermata. Camminava col biglietto proteso, stretto nel guanto di lana. Idem per gli spiccioli in “coda alla cassa di qualsiasi negozio. Può capitare anche a me. Uno dev’essere pronto a ogni evenienza, delimitare il territorio. Quando mia madre andava a trascorrere qualche giorno da sua cugina ad Achères (con il diretto da Asnières), una settimana prima la valigia era già per terra, aperta e foderata di indumenti. Lo faccio anch’io, con un anticipo appena più ragionevole.”



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