mercoledì 1 marzo 2017

VINCI SIMONA
La prima verità / Simona Vinci. – Torino : Einaudi, 2016. – 397 p. ; 20 cm.

Incipit
”Un lettino di ferro con le sbarre bianche e un corpo nudo, quello di una bambina tra il sette e dieci anni. Che è una femmina, si capisce solo del taglio tra le gambe unite e tenute ferme da una cinghia di contenzione. Anche le braccia sono legate alle sponde con due strisce di tela e tutto il peso del corpo si regge sui gomiti. Dietro la schiena, un cuscino macchiato e sotto il sedere, una tela cerata. Nell’angolo il fondo a destra si intravede un materasso a righe.
Poi c’è il buio.”

Un libro che parla di manicomi, di repressione di malati (ma anche di politici), di torture e di sofferenze.
Gli ambienti sono diversi: per gran parte la storia è ambientata nell’isola di Leros, dove, per lungo tempo, fino agli anni ‘70, furono internati, in un lugubre edificio, i “matti” di tutta la Grecia e, dopo il colpo di Stato dei colonnelli, nel 1969, anche gli oppositori politici. Tra questi il poeta Yannis Ritsos,  al quale si ispira uno dei personaggi del libro.
Un altro luogo è Budrio, dove il rapporto con i “matti”, seppure meno drammatico, è frequente e colpisce la fantasia dei bambini. A Budrio c’erano due istituti psichiatrici: il San Gaetano e Villa Donini, con un totale di circa 600 ricoverati.
Infine, l’ultimo luogo raccontato nelle pagine finali del libro è Freetown in Sierra Leone: si tratta dell’ospedale psichiatrico Kissy Mental, che era l’unico in tutto il Paese.

Questo libro mi ha colpito perché condivido con l’autrice l’interesse per la storia dei manicomi e delle tante vite legate a queste istituzioni. C’è sempre in questi luoghi qualcosa di misterioso, di segreto e di vergognoso, come se fossero luoghi sotterranei. Per questo siamo attratti nel desiderio di esplorarli e affascinati dalla ricerca del segreto, anche se, spesso, alla fine, ci troviamo davanti a vicende banali, di “ordinaria follia” e non riusciamo raggiungere una comprensione maggiore di quella dalla quale eravamo partiti.
Ho segnato un pezzo che mi ha colpito, che riguarda la passione per le ricerche negli archivi e per lo scavo nei faldoni, la curiosità che ci spinge, come dei “minatori”, a cercare tra le storie delle risposte:

“Questa stanza nel seminterrato di un edificio di un’isola sperduta nell’Egeo, con i suoi veli di ragnatele che sembravano millenarie, lo strato di polvere oleoso che ricopriva ogni cosa, per lei era un sogno … Una fila di faldoni scoloriti e in disordine. Registri annuali, cartelle di pazienti, fotografie, tutto affastellato senza un ordine cronologico, quasi scompigliato di proposito, come se conoscere la storia di quel posto e delle persone che ci erano finite dentro dovesse risultare impossibile a chiunque avesse osato metterci le mani in mezzo …  Forse, pensò Angela, dietro non c’era niente di strano o misterioso, niente che valesse la pena di essere indagato, davvero doveva trattarsi solo di incuria e disinteresse, perché in effetti le vite di quelle persone erano irrilevanti. Erano irrilevanti i loro nomi, le loro facce, le diagnosi a loro riferite, irrilevante la durata del loro passaggio in questo posto in particolare e, in generale, del loro passaggio sulla terra. Decine, centinaia, migliaia di disadattati, psicopatici, cerebrolesi, deficienti, handicappati, casi umani tutti diversi, ma in fondo tutti uguali”
(Pagine 64 65)

Dunque “irrilevanti”, da nascondere, da tenere lontani (non a caso i manicomi erano costruiti sempre lontani dalle città e addirittura nelle isole chiusa). Ma questo disordine dell’archivio corrisponde bene al disordine del “mondo di sopra”, dove si aggirano i “matti”, lasciati a se stessi, tra la sporcizia, oggetti di semplice custodia o peggio di contenzione, e mai di cura.

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martedì 7 febbraio 2017

Il mondo di ieri / Stefan Zweig

Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo / Stefan Zweig ; traduzione di Lavinia Mazzucchetti.  - Milano : A. Mondadori, 2015. - XVI, 371 p. ; 20 cm.

Incipit
"Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il più conciso possibile dicendo: fu l'età d'oro della sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante supremo di tale continuità. I diritti da lui concessi ai cittadini erano garantiti dal parlamento, dalla rappresentanza del popolo liberamente eletta, e ogni dovere aveva i suoi precisi limiti. La nostra moneta, la corona austriaca, circolava in pezzi d'oro e garantiva così la sua stabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi. Chi possedeva un capitale era in grado di calcolare con esattezza il reddito annuo corrispondente; il funzionario, l'ufficiale potevano con certezza cercare nel calendario l'anno dell'avanzamento o quello della pensione. Ogni famiglia aveva un bilancio preciso, sapeva quanto potesse spendere per l'affitto e il vitto, per le vacanze o per gli obblighi sociali, e vi era anche sempre una piccola riserva per gli imprevisti, per le malattie e il medico. Chi possedeva una casa la considerava asilo sicuro dei figli e dei nipoti; fattorie e aziende passavano per eredità di generazione in generazione; appena un neonato era in culla, si metteva nel salvadanaio o si deponeva alla cassa di risparmio il primo obolo per il suo avvenire, una piccola riserva per il suo cammino. Tutto nel vasto impero appariva saldo e inamovibile e al posto più alto stava il sovrano vegliardo; ma in caso di sua morte si sapeva (o si credeva di sapere) che un altro gli sarebbe succeduto senza che nulla si mutasse nell'ordine prestabilito. Nessuno credeva a guerre, a rivoluzioni e sconvolgimenti. Ogni atto radicale, ogni violenza apparivano ormai impossibili nell'età della ragione",

"Sicurezza", "stabilità": parole lontanissime dal nostro tempo, dalla nostra società insicura, "liquida", senza certezze e piena di sfiducia e di rancore,
Zweig, in questo meraviglioso libro, racconta la sua vita dal periodo della giovinezza nella Vienna della belle époque alle tragiche vicende dei due periodi bellici, quelli della prima e della seconda guerra mondiale, che vive con profonda e dolorosa partecipazione.
Colpisce come la società di allora non avesse percepito i segnali che preannunciarono lo scoppio delle due guerre e si illudessero, fino all'ultimo, che la pace fosse ancora possibile.
Soprattutto non si resero conto della peste del nazionalismo che pervase le classi dirigenti e i popoli europei portandoli alla catastrofe.
Purtroppo, l'attualità sembra riportarci questa peste, allorché interi Paesi riscoprono l'orgoglio nazionale e ricercano nemici esterni, mentre si affievolisce il ricordo delle tragedie del Novecento
Il libro di Zweig è un'ode accorata ad un'Europa solidale, che riscopra la civiltà e lo spirito dei suoi tempi e dei suoi uomini migliori, superando i nazionalismi e gli egoismi.

LINK
criticaletteraria
it.wikipedia.org/wiki/Stefan_Zweig
nonsoloproust
antoniodileta.wordpress.com
athenaenoctua2013
tramedoro.eu






giovedì 22 dicembre 2016

La scuola cattolica / Edoardo Albinati.


La scuola cattolica / Edoardo Albinati. – Milano : Rizzoli, 2016. –  1294 p. ; 20 cm.

Incipit
Fu Arbus ad aprirmi gli occhi. Non che prima li tenessi chiusi, ma di quello che i miei occhi vedevano non potevo affatto essere sicuro, forse erano immagini proiettate per illudermi o rassicurarmi, e io numero capace di nutrire dubbi sullo spettacolo che mi veniva offerto ogni giorno e che viene chiamato la vita.  Da una parte accettavo senza discutere tutto ciò che tocca in sorte a un ragazzino di tredici, quattordici, quindici anni degli altri anni in fila che servono per portare a compimento quella “fase” (l’ho sempre sentita definire come una ” fase”, un ” momento”, anche se può durare allungo, un “momento delicato”, o addirittura una “crisi”, a cui per la verità seguiranno altri momenti e fasi altrettanto delicate o critiche, avvicendandosi l’una dopo l’altra senza intervalli fino a quando uno è grande, adulto, vecchio, e infine morto),  mi cibavo senza far storie alla mensa quotidiana dove vengono apparecchiate le cose che accadono a qualsiasi adolescente, gli affari in cui è immerso e intanto cresce, si sviluppa (ecco “sviluppo”, altra parola-chiave usata degli adulti per scardinare i lucchetti dell’adolescenza, la difficile “età dello sviluppo”, lo “sviluppo della personalità”, e poi l’orribile espressione in transitiva “ha sviluppato”, che sigilla con una ceralacca untuosa i segreti genitali) magari senza un preciso ordine, ma che formano riportate immancabili del pasto  di un adolescente: la scuola, il calcio, gli amici, le frustrazioni, le eccitazioni, il tutto punteggiato da telefonate e rifornimenti di benzina e cadute dal motorino – insomma esperienze comuni.
Dall’altra parte però, venivo punto  da un sentimento the perplessità. Era proprio questa, la vita? Cioè, era la mia vita? Dovevo fare qualcosa perché fosse mia, o mi veniva fornita e garantita così? Me la dovevo guadagnare o meritare? Forse era provvisoria, e presto sarebbe stata sostituita da quella definitiva. Ma in questo caso dovevo cambiarla io o ci avrebbe pensato qualcun altro? Un evento esterno? La vita può essere un fatto straordinario o normale. La mia di che tipo era? Fino a quando non entrò Arbus nella storia, queste domande, che ora sono perlomeno in grado di formulare, pur avendo del tutto abbandonato la pretesa di rispondervi, non affioravano nemmeno, si dissolvevano prima di arrivare alla superficie della mia coscienza, lasciando sono un leggero  tremore.

Già dall’incipit, si percepisce il tono disincantato e spesso cinico di questo libro, che rifugge dei luoghi comuni e dalle valutazioni scontate.
È difficile fare una recensione sia per la quantità del testo, sia per la sua strana forma. Non è, infatti, romanzo, anche se ci sono delle parti narrative, delle storie. In particolare, c’è il famoso delitto del Circeo (DdC), che appare e scompare nei numerosi capitoli, ma che è sempre presente sullo sfondo e viene usato dall’autore come lo specchio di un’epoca, di un quartiere, ma forse, più in generale, dell’Italia degli anni ‘60 e ’70.
Altre storie riguardano la gita della famiglia Rummo intorno al lago, con la tragica morte della bambina Giaele, le vacanze a Punta Ala con Max, l’amico fascista, gli episodi di vita scolastica, l’esperienza con i carcerati a Rebibbia.

Quindi, i luoghi sono Roma, in particolare l’istituto San Leone Magno (SLM) e il quartiere Trieste (QT), poi Punta Ala, luogo delle vacanze estive, Lavarone, per la settimana bianca, il Circeo, naturalmente, e il carcere di Rebibbia.

Ci sono numerosi personaggi nel testo, ma tutto ruota intorno a Edoardo Albinati, perché è della sua vita, delle sue esperienze e dei suoi luoghi che parla il libro. Ci sono, poi, i compagni di scuola: Arbus, il più importante, il genio della scuola, l’amico di riferimento; Rummo, lo psichiatra cattolico; Jervi, il compagno ricco destinato ad una tragica fine; Pierannunzi, figlio di un giocattolaio, di una mascolinità sovrabbondante; Marco Lodoli, con l’episodio della rottura degli occhiali; Zarattini, il più esile ed effeminato; Zipoli, che usava un quaderno per tutte le materie, cancellandolo ogni anno; Chiodi, sadico e poi suicida; Crasta, detto Bradipo, che si infilava il cappuccio della bic nell’orecchio; Picchiatello, detto Pik, autistico, il bersaglio di tutta la classe; Marco d’Avenia, al centro di un episodio sadomaso; Ferrazza, il fascista “forgiato”; Regazzoni, che con le sue e-mail cercherà invano di riunire tutti i compagni di classe.

I professori del SLM: fratel Gildo, professore di filosofia, meticoloso e freddo, fa lezioni ripetitive e noiose; Svampa, professore omosessuale di chimica, vittima di un tremendo scherzo degli allievi; De Laurentiis,  napoletano, professore di lettere antiche, cultore di musica greca; Mr. Golgota, professore laico di religione, in una scuola cattolica, vittima di continue prese in giro; il Preside, dagli occhiali scuri, temuto dagli allievi; Cosmo, il più importante, quello che più ha segnato la vita di Edoardo e di Rummo. Cosmo morirà assistito da un’infermiera e da Rummo e lascerà dei quaderni con pensieri sparsi, riportati nei capitoli finali del testo.

Importanti sono anche i vari professori di ginnastica: fratello Curzio, scoperto mentre andava a prostitute, viene poi sostituito; Tarascio, professore maschio, muscoloso e rugoso, meridionale, sempre in canottiera; “Courbet”, professore al Giulio Cesare, pittore di nudi, con cui si affrontano temi sessuali nel suo atelier; Caligari, istruttore di nuoto, vuol fare diventare delle statue i suoi allievi.

I preti: fratel Barnaba, addetto alla piscina e alle attività extra scolastiche, il “prete intelligente”; padre Edoardo, della parrocchia di Sant’Agnese, conosciuto in occasione della benedizione della casa dell’autore; padre Marenzio, al centro di un episodio ambiguo, durante la vacanza a Lavarone.

Poi ci sono le donne: cosa più importante è Leda (Perdìta), la sorella di Arbus, “fuoco di Sant’Antonio della mia giovinezza”; Bettina, la ragazza tedesca diciottenne, conosciuta in Spagna e poi rivista a Roma; Rosetta Mauri, detta Rosi, la ragazza bionda innamorata, ma non ricambiata, di Jervi; Romina, la bellissima sorella di Jervi; Ilaria, la mamma di Arbus; la mamma di Pik, un’attrice somigliante a Lucia Bosè, al centro delle fantasie adolescenziali dell’autore.
Infine, i tre protagonisti del DdC, Angelo, il Legionario e Subdued, anch’essi legati alla scuola cattolica del SLM, oltre a vari personaggi del sottobosco fascista come Cassio Majuri, uno spacciatore che sarà la fine giustiziato dai suoi camerati, in occasione di un finto stupro di gruppo.

I temi
Il delitto del Circeo, di cui in parte ho già parlato.
La scuola cattolica, naturalmente.
Il cattolicesimo, nei suoi vari aspetti: Gesù, Dio, la preghiera, la Messa, la Confessione, I ritiri spirituali, il masochismo, il peccato.
La sessualità: l’omosessualità, la sensualità, la libertà sessuale e la repressione, lo stupro, la virilità e la femminilità, la psicanalisi, l’eccitazione, la verginità, il corpo maschile il femminile.
La borghesia: la classe media, l’educazione borghese, la famiglia, il matrimonio e il patrimonio, l’eredità, l’autorità, la distinzione, il gusto.
L’adolescenza: il cameratismo, la violenza, la crudeltà, il linguaggio, la morte, l’amicizia.
La politica: il fascismo, la sinistra extraparlamentare, la violenza politica.
Il carcere.
La musica.
Il cinema.
La droga.

Alla fine, penso di aver capito che libro è questo: è un insieme di pensieri che si possono leggere anche aprendo le pagine a caso, è uno Zibaldone moderno.
Ma è anche un contro Cuore, cioè un libro Cuore postmoderno, cinico e crudele, ma sempre appassionato e sincero.

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In chi ha vissuto quegli anni, nella propria adolescenza e giovinezza, questo libro suscita confronti e ricordi, come se l’adolescenza di Albinati fosse una fonte di calore che, messa vicino alla propria, trasmettesse parte di questo calore, in modo da risvegliare e far emergere più nitidamente la propria memoria.

Link
internazionale.it/opinione/christian-raimo
formiche.net
wuz.it/recensione-libro
www.recensireilmondo.com
ilpost.it
letteratura.rai.it
lastambergadeilettori.com








venerdì 9 dicembre 2016

Viaggio in Siria / Gertrude Bell

Viaggio in Siria / Gertrude Bell ; prefazione di Ettore Mo ; [trad. di Lucia Palianti]. - Vicchio di Mugello : Polaris, c2014. - 332 p. : ill. ; 20 cm. - Tit. orig.: Syria. The desert and the Sown. 

Incipit
Per chi è cresciuto in un ambiente sociale sofisticato, la partenza per un viaggio in luoghi selvaggi è uno dei pochi momenti esaltanti dell’esistenza. Si aprono tutti cancelli del muro di cinta, cade la catena d’ingresso al santuario, si fa un passo in avanti guardando con circospezione a destra e sinistra ed, ecco, si è davanti al mondo sconfinato!
Il mondo dell’avventura e della scoperta, nero di tempeste incombenti, brillante della luce naturale del sole, con domande  insolute e dubbi risolvibili nascosti nelle pieghe di ogni colle. Da soli ci si deve avventurare in quel mondo, via della massa di amici che camminano tra i roseti senza spine. Spogliati dei panni elaborati e raffinati che ostacolano la lotta, senza rifugio, senza difesa, senza alcun bene terreno. La voce del vento sostituirà quella incalzante di chi vuole dare consigli, il tocco della pioggia  e il graffio del gelo saranno sproni più forti della lode o del biasimo e la necessità parlerà con una voce autorevole sconosciuta alla saggezza presa in prestito dall’uomo e seguita o negletta a sua volontà. Così si abbandona il proprio rifugio dorato e, come un personaggio di fiaba alla soglia del sentiero che si stende lungo il tondo contorno della terra, si sentono rompere i legami del proprio cuore.

Un libro che racconta un viaggio nella Siria ottomana, iniziato nel febbraio del 1905, di una signora inglese, Geltrude Bell, studiosa di archeologia, che divenne una protagonista, per la sua conoscenza dei luoghi e delle popolazioni, della politica medio-orientale inglese, dopo la fine della I Guerra mondiale, quando francesi e inglesi tracciarono i confini dei nuovi Stati, nati dalla disgregazione dell’Impero ottomano (Sykes e Picot).
Un libro per chi ama la Siria e vuole ripercorrere le tappe di un viaggio tra le rovine lasciate dagli ittiti, dai romani e dai crociati. Tracce e rovine forse ormai perdute e, comunque, irreparabilmente diverse da quelle scoperte da Geltrude Bell nel lontano 1905.
Oltre alle rovine descritte nel testo e, in parte, riprodotte dalle fotografie in bianco e nero dell’autrice, il libro racconta la varietà delle popolazioni che vivevano più o meno pacificamente (vi erano frequenti razzie e scontri tra tribù e popolazioni) in quella terra: arabi, drusi, circassi, armeni, curdi, yazidi. Convivevano diverse religioni: musulmana, ortodossa, cattolica, ebraica, ismailita.
C’erano anche gli yazidi, diventati tristemente famosi per le persecuzioni di cui sono stati recentemente vittime in Iraq, da parte dei terroristi dell’Isis. Già allora I “maomettani” li chiama
vano “adoratori del diavolo”, ma Geltrude Bell li considera “gente innocua e ben intenzionata”.
Molto interessante, anche i fini della comprensione di ciò che avviene in Irak, è questo passo:

Mi avvicinai all’argomento con cautela mentre eravamo seduti sulla soglia della chiesetta di Kefr Lab, chiedendogli se gli yezidi  avevano moschee o chiese.
"Nessuna delle due", risposte Musa. "Preghiamo all’aria aperta. Ogni giorno all’alba adoriamo il sole".
"Avete un imam che guida la preghiera?"
"Nei giorni di festa lo sceicco guida la preghiera", disse "ma gli altri giorni ognuno prega da solo".
Chiesi ancora: "Siete amici dei  maomettani o loro sono vostri nemici?"

Rispose: "Qui nella zona attorno ad Aleppo siamo in pochi e non ci temono e viviamo in pace con loro; ma ogni anno viene da Mosul  uno sceicco molto erudito a raccogliere i nostri tributi e si meraviglia a vedere che siamo fratelli dei musulmani perché a Mosul dove gli yezidi  sono di più, c’è una forte inimicizia".

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lunedì 21 novembre 2016

Trincee / Carlo Salsa



Trincee : confidenze di un fante / Carlo Salsa ; prefazione di Luigi Santucci. - Milano : Mursia, 2013. - 258 p. , [4] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

Incipit
"Ho allungato una pedata ad una gavetta ed ho schiaffato dentro un tipo arrogante che si conferiva certe arie beffarde. Il soldato è l'attendente dell'aiutante maggiore in prima del Deposito, autorità cospicua, tanto che i comandi si sono fatti diligenti di preservarla da ogni peripezia gloriosa quanto si vuole ma priva di garanzie.
Ieri sera cantante l'aiutante maggiore È rimasta senza attendente: stamane, appena entrato in caserma, ha parlamentato lungamente con lui. Poi è salito al comando; mi è passato dinanzi facendo suonare la guerresca fanfara dei suoi speroni, e mi ha trafitto con un'occhiataccia tremenda. Sono stato invitato a salire dal colonnello.
"Ieri lei dato un calcio alla gavetta di un soldato"
"Signorsì"
"Questo abuso di autorità. Tenga agli arresti"
"Mi duole che non potrò scontarli, poiché stasera dovrò partire per il fonte".
Il colonnello si è ficcata la pancia sotto lo scrittoio, ha acceso una sigaretta, mi ha risposto, senza guardarmi, annoiato e contrariato.
"Non importa. Lei sa che la punizione ha carattere soprattutto morale."

Un libro antiretorico fin dall'inizio, scritto da un ufficiale che ha combattuto nelle trincee del Carso, dove più tragico fu lo scontro.
Al contrario di molte memorie di guerra, quella di Carlo Salsa è la testimonianza di chi è stato nei fronti più caldi, fino alla prigionia durissima a Theresienstadt.
Un libro terapeutico, come altri libri di memorie sulla Grande guerra, per relativizzare i problemi della contemporaneità e per confrontarci con giovani che hanno sacrificato allora giovinezza nel freddo delle trincee, nella sofferenza, nella prigionia e nella morte.
I luoghi dove si svolge la vicenda sono spesso anche i titoli dei capitoli: Palmanova (da dove inizia il viaggio verso il fronte), Chiopris, Sagrado (sulla linea dell'Isonzo), Sdraussina (dove combatteva la Terza armata), San Michele, Bosco Cappuccio, Santa Maria (vicino a Tolmino), Merzli e Vodil, Milano (per una breve licenza), l'Hermada e infine Theresienstadt per la prigionia.
Fin dall'inizio dell'esperienza, il giovane ufficiale si rende conto della misera realtà della guerra, al di là della retorica di chi l'aveva voluta:

"Scendo sulla strada gremita di soldati: una processione interminabile sfila lenta, scendendo all'abitato dalle alture vicine, come una colata limacciosa da una ferita enorme. Passano in silenzio, scollando a fatica i piedi del fango, corteo di miseria, di stanchezza, di patimento".

Poi, nella vita di trincea sperimenta l'imbecillità e l'inadeguatezza dei comandi che ordinano "assalti inutili", minacciando chi cerca di opporsi:
"O lei va all'attacco o io ho il dovere di sparare"
"Ma quello che avvilisce, che demoralizza, che abbatte è di veder morire così, inutilmente, senza scopo. Oh, non si muore per la patria così; si muore per l'imbecillità di certi ordini e la vigliaccheria di certi comandanti".

E, prima degli utili assalti, c'è l'immobilità e l'inedia della vita di trincea:
"Non ci si può muovere; questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe rattratte, i fucili, di cassette di munizioni che s'affastellano, di immondizie dilaganti".
"Durante tutto il giorno nessuno può muoversi; si cerca di sonnecchiare nelle ore di calma; il budello che sale sembra il corridoio di un museo di mummie e di cariatidi".
"I soldati s'ammassano immobili nell'attesa, tra una rastrelliera di fucili, come bestiame stivato".

Per il nemico, con cui a volte si instaurano dei rapporti tra una trincea e l'altra, c'è un sentimento di pietà, perché si condivide la stessa vita di stenti:
"Anche oggi, una colata di prigionieri quaggiù: povera gente logora e frusta, consunta dal patimento, che veniva a noi come ad una liberazione".

Tra la vita di trincea e il mondo lontano delle città non c'è comprensione, due mondi che si ignorano, nonostante i proclami patriottici:

"Mentre gli altri continuano a confabulare, do un'occhiata: è un giornale illustrato, piena di notizie e di fotografie di guerra. C'è una illustrazione ... che mostra un ricovero da trincea ammobiliato come un salotto, pieno di soldati azzimati che brindano e suonano dei mandolini e delle chitarre attorno ad una tavola pingue".

L'incomprensione tra i soldati combattenti e la società civile emerge ancora più chiaramente quando il tenente Salsa va in licenza a Milano, nel capitolo intitolato ironicamente l'Oasi:

"Poi mi si misero ad elencare le ristrettezze che la guerra infliggeva loro, ma alle quali si assoggettavano con alto patriottismo. Non mi chiesero nulla di me, dei miei soldati, delle vicende lassù. Solamente una delle signorine, per trovare un adeguato riscontro alle sue pene cittadine, si ricorda di dirmi d'un tratto: 'Poveretti, chissà come starete a disagio voi, in trincea, quando piove!'
"L'altra signorina intervenne con una irrimediabile nostalgia: 'Che disgrazia non essere uomini! Vorrei poter andare anch'io in guerra".

Due mondi incomunicabili che spiegano il rancore degli ex combattenti nel dopoguerra, abilmente sfruttata dal fascismo, anche per la dabbenaggine delle forze socialiste.

Si prevede anche la retorica postbellica che sarà celebrata da chi la guerra non l'ha fatta e l'ha scampata:
"Verranno ad inaugurare anche i monumenti, il più famoso imboscato farà il discorso, ritirerà in ballo tutto l'armamentario della professione. Poi andranno tutti a Gorizia, e ci faranno sopra una bella scorpacciata".

La crudeltà della guerra è anche quella che colpisce i cosiddetti "disertori", spesso soldati che si erano presi qualche giorno di licenza e, poi erano ritornati, come Mele, un volontario tra l'altro, che "è capitato nelle grinfie di un ufficiale effettivo ed è stato fucilato ... Gli altri disertori, quelli che hanno disertato facendosi imboscare, prosperano".

Infine, c'è la dura esperienza della prigionia, dove gli italiani soffrono la fame e vengono puniti dal Governo italiano, come fossero disertori, lasciandoli senza aiuti alimentari.
"Al campo della truppa, i nostri soldati vengono lasciati morire di fame come per una distruzione sistematica: nessun aiuto giunge dalla patria che sembra aver rinnegato questi combattenti sfortunati, caduti in prigionia durante le prime eroiche offensive del Carso".
"Mentre i prigionieri francesi, inglesi, perfino russi vengono forniti di viveri direttamente dai loro governi, i nostri sono abbandonati così".
"Al campo della truppa, prossimo al nostro, sono concentrati 15.000 soldati: ne muoiono circa 70 al giorno, di fame".

Link
it.wikipedia.org/wiki/Trincee
wikipedia Carlo_Salsa
qlibri.it
www.youtube.com Melania Mazzucco



Trincee / Carlo Salsa


Trincee : confidenze di un fante / Carlo Salsa ; prefazione di Luigi Santucci. - Milano : Mursia, 2013. - 258 p. , [4] c. di tav. : ill. ; 20 cm.

Incipit
"Ho allungato una pedata ad una gavetta ed ho schiaffato dentro un tipo arrogante che si conferiva certe arie beffarde. Il soldato è l'attendente dell'aiutante maggiore in prima del Deposito, autorità cospicua, tanto che i comandi si sono fatti diligenti di preservarla da ogni peripezia gloriosa quanto si vuole ma priva di garanzie.
Ieri sera cantante l'aiutante maggiore È rimasta senza attendente: stamane, appena entrato in caserma, ha parlamentato lungamente con lui. Poi è salito al comando; mi è passato dinanzi facendo suonare la guerresca fanfara dei suoi speroni, e mi ha trafitto con un'occhiataccia tremenda. Sono stato invitato a salire dal colonnello.
"Ieri lei dato un calcio alla gavetta di un soldato"
"Signorsì"
"Questo abuso di autorità. Tenga agli arresti"
"Mi duole che non potrò scontarli, poiché stasera dovrò partire per il fonte".
Il colonnello si è ficcata la pancia sotto lo scrittoio, ha acceso una sigaretta, mi ha risposto, senza guardarmi, annoiato e contrariato.
"Non importa. Lei sa che la punizione ha carattere soprattutto morale."

Un libro antiretorico fin dall'inizio, scritto da un ufficiale che ha combattuto nelle trincee del Carso, dove più tragico fu lo scontro.
Al contrario di molte memorie di guerra, quella di Carlo Salsa è la testimonianza di chi è stato nei fronti più caldi, fino alla prigionia durissima a Theresienstadt.
Un libro terapeutico, come altri libri di memorie sulla Grande guerra, per relativizzare i problemi della contemporaneità e per confrontarci con giovani che hanno sacrificato allora giovinezza nel freddo delle trincee, nella sofferenza, nella prigionia e nella morte.
I luoghi dove si svolge la vicenda sono spesso anche i titoli dei capitoli: Palmanova (da dove inizia il viaggio verso il fronte), Chiopris, Sagrado (sulla linea dell'Isonzo), Sdraussina (dove combatteva la Terza armata), San Michele, Bosco Cappuccio, Santa Maria (vicino a Tolmino), Merzli e Vodil, Milano (per una breve licenza), l'Hermada e infine Theresienstadt per la prigionia.
Fin dall'inizio dell'esperienza, il giovane ufficiale si rende conto della misera realtà della guerra, al di là della retorica di chi l'aveva voluta:

"Scendo sulla strada gremita di soldati: una processione interminabile fila lenta, scendendo all'abitato dalle alture vicine, come una colata limacciosa da una ferita enorme. Passano in silenzio, scollando a fatica i piedi del fango, corteo di miseria, di stanchezza, di patimento".

Poi, nella vita di trincea sperimenta l'imbecillità e l'inadeguatezza dei comandi che ordinano "assalti inutili", minacciando chi cerca di opporsi:
"O lei va all'attacco o io ho il dovere di sparare"
"Ma quello che avvilisce, che demoralizza, che abbatte è di veder morire così, inutilmente, senza scopo. Oh, non si muore per la patria così; si muore per l'imbecillità di certi ordini e la vigliaccheria di certi comandanti".

E, prima degli utili assalti, c'è l'immobilità e l'inedia della vita di trincea:
"Non ci si può muovere; questa fossa in cui siamo è ingombra di corpi pigiati, di gambe rattratte, I fucili, di cassette di munizioni che s'affastellano, di immondizie dilaganti".
"Durante tutto il giorno nessuno può muoversi; si cerca di sonnecchiare nelle ore di calma; il budello che sale sembra il corridoio di un museo di mummie e di cariatidi".
"I soldati s'ammassano immobili nell'attesa, tra una rastrelliera di fucili, come bestiame stivato".

Per il nemico, con cui a volte si instaurano dei rapporti tra una trincea e l'altra, c'è un sentimento di pietà, perché si condivide la stessa vita gli stenti:
"Anche oggi, una colata di prigionieri quaggiù: povera gente logora e frusta, consunta dal patimento, che veniva a noi come ad una liberazione".

Tra la vita di trincea e il mondo lontano delle città non c'è comprensione, due mondi che si ignorano, nonostante i proclami patriottici:

"Mentre gli altri continuano a confabulare, do un'occhiata: è un giornale illustrato, piena di notizie e di fotografie di guerra. C'è una illustrazione ... che mostra un ricovero da trincea ammobiliato come un salotto, pieno di soldati azzimati che brindano e suonano dei mandolini e delle chitarre attorno ad una tavola pingue".

L'incomprensione tra i soldati combattenti e la società civile emerge ancora più chiaramente quando il tenente Salsa va in licenza a Milano, nel capitolo intitolato ironicamente l'Oasi:

"Poi mi si misero ad elencare le ristrettezze che la guerra infliggeva loro, ma alle quali si assoggettavano con alto patriottismo. Non mi chiesero nulla di me, dei miei soldati, delle vicende lassù. Solamente una delle signorine, per trovare un adeguato riscontro alle sue pene cittadine, si ricorda di dirmi d'un tratto: 'poveretti, chissà come starete a disagio voi, in trincea, quando piove!'
"L'altra signorina intervenne con una irrimediabile nostalgia: 'che disgrazia non essere uomini! Vorrei poter andare anch'io in guerra".

Due mondi incomunicabili che spiegano il rancore degli ex combattenti nel dopoguerra, abilmente sfruttata dal fascismo, anche per la dabbenaggine delle forze socialiste.

Si prevede anche la retorica postbellica che sarà celebrata da chi la guerra non l'ha fatta e l'ha scampata:
"Verranno ad inaugurare anche i monumenti, il più famoso imboscato sarà il discorso ritirerà in ballo tutto l'armamentario della professione. Poi andranno tutti a Gorizia, e ci faranno sopra una bella scorpacciata".

La crudeltà della guerra è anche quella che colpisce i cosiddetti "disertori", spesso soldati che si erano presi qualche giorno di licenza e, poi erano ritornati, come Mele, un volontario tra l'altro, che "è capitato nelle grinfie di un ufficiale effettivo ed è stato fucilato ... Gli altri disertori, quelli che hanno disertato facendosi imboscare, prosperano".

Infine, c'è la dura esperienza della prigionia, ove gli italiani soffrono la fame e vengono puniti dal Governo italiano, come fossero disertori, lasciandoli senza aiuti alimentari.
"Al campo della truppa, i nostri soldati vengono lasciati morire di fame come per una distruzione sistematica: nessun aiuto giunge dalla patria che sembra aver rinnegato questi combattenti sfortunati, caduti in prigionia durante le prime eroiche offensive del Carso".
"Mentre i prigionieri francesi, inglesi, perfino russi vengono forniti di viveri direttamente dai loro governi, i nostri sono abbandonati così".
"Al campo della truppa, prossimo al nostro, sono concentrati 15.000 soldati: mi muoiono circa 70 al giorno, di fame".

Link
it.wikipedia.org/wiki/Trincee
wikipedia Carlo_Salsa
qlibri.it
www.youtube.com Melania Mazzucco