Incipit
Per chi è cresciuto in un ambiente sociale sofisticato, la
partenza per un viaggio in luoghi selvaggi è uno dei pochi momenti esaltanti
dell’esistenza. Si aprono tutti cancelli del muro di cinta, cade la catena
d’ingresso al santuario, si fa un passo in avanti guardando con circospezione a
destra e sinistra ed, ecco, si è davanti al mondo sconfinato!
Il mondo dell’avventura e della scoperta, nero di tempeste
incombenti, brillante della luce naturale del sole, con domande insolute e dubbi risolvibili nascosti nelle
pieghe di ogni colle. Da soli ci si deve avventurare in quel mondo, via della
massa di amici che camminano tra i roseti senza spine. Spogliati dei panni
elaborati e raffinati che ostacolano la lotta, senza rifugio, senza difesa,
senza alcun bene terreno. La voce del vento sostituirà quella incalzante di chi
vuole dare consigli, il tocco della pioggia e il graffio del gelo saranno sproni più forti
della lode o del biasimo e la necessità parlerà con una voce autorevole
sconosciuta alla saggezza presa in prestito dall’uomo e seguita o negletta a
sua volontà. Così si abbandona il proprio rifugio dorato e, come un personaggio
di fiaba alla soglia del sentiero che si stende lungo il tondo contorno della
terra, si sentono rompere i legami del proprio cuore.
Un libro che racconta un viaggio nella Siria ottomana,
iniziato nel febbraio del 1905, di una signora inglese, Geltrude Bell, studiosa
di archeologia, che divenne una protagonista, per la sua conoscenza dei luoghi e
delle popolazioni, della politica medio-orientale inglese, dopo la fine della
I Guerra mondiale, quando francesi e inglesi tracciarono i confini dei
nuovi Stati, nati dalla disgregazione dell’Impero ottomano (Sykes e Picot).
Un libro per chi ama la Siria e vuole ripercorrere le tappe
di un viaggio tra le rovine lasciate dagli ittiti, dai romani e dai crociati.
Tracce e rovine forse ormai perdute e, comunque, irreparabilmente diverse da quelle
scoperte da Geltrude Bell nel lontano 1905.
Oltre alle rovine descritte nel testo e, in parte, riprodotte dalle
fotografie in bianco e nero dell’autrice, il libro racconta la varietà delle
popolazioni che vivevano più o meno pacificamente (vi erano frequenti razzie e
scontri tra tribù e popolazioni) in quella terra: arabi, drusi, circassi, armeni,
curdi, yazidi. Convivevano diverse religioni: musulmana, ortodossa, cattolica,
ebraica, ismailita.
C’erano anche gli yazidi, diventati tristemente famosi per
le persecuzioni di cui sono stati recentemente vittime in Iraq, da parte dei
terroristi dell’Isis. Già allora I “maomettani” li chiama
vano “adoratori del
diavolo”, ma Geltrude Bell li considera “gente innocua e ben intenzionata”.
Molto interessante, anche i fini della comprensione di ciò
che avviene in Irak, è questo passo:
Mi avvicinai all’argomento con cautela mentre eravamo
seduti sulla soglia della chiesetta di Kefr Lab, chiedendogli se gli
yezidi avevano moschee o chiese.
"Nessuna delle due", risposte Musa. "Preghiamo all’aria
aperta. Ogni giorno all’alba adoriamo il sole".
"Avete un imam che guida la preghiera?"
"Nei giorni di festa lo sceicco guida la preghiera", disse "ma
gli altri giorni ognuno prega da solo".
Chiesi ancora: "Siete amici dei maomettani o loro sono vostri nemici?"
Rispose: "Qui nella zona attorno ad Aleppo siamo in pochi e
non ci temono e viviamo in pace con loro; ma ogni anno viene da Mosul uno sceicco molto erudito a raccogliere i
nostri tributi e si meraviglia a vedere che siamo fratelli dei musulmani perché
a Mosul dove gli yezidi sono di più, c’è
una forte inimicizia".
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