1947 / Elisabeth Åsbrink ; traduzione di Alessandro Borini. - Iperborea, 2018 (Iperborea ; 292). - 314 p. ; 20 cm.
E' l'anno in cui sono nato e ne sono successe di cose. Si sentiva ancora l'eco della guerra da poco conclusa.
Incipit:
Il tempo non va esattamente come dovrebbe.
Il primo gennaio del 1947 il Times scrive che
gli inglesi non possono fare affidamento sui
propri orologi. Per essere del tutto certi che il
tempo sia quello che dice di essere si consiglia
loro di ascoltare la BBC, che trasmetterà dei
notiziari supplementari su quale sia effettivamente l’ora esatta. Gli orologi elettrici risentono delle frequenti interruzioni di corrente, ma
anche quelli meccanici vanno controllati. Forse
dipende dal freddo. Forse la situazione migliorerà.
Nel corso della guerra sono state sganciate
sulla Gran Bretagna circa 50.000 tonnellate di
bombe. Oltre 4,5 milioni di edifici risultano
danneggiati. Ci sono centri rurali minori che
sono quasi stati rasi al suolo, come la cittadina
portuale scozzese ai cui bombardamenti è addirittura stato dato un nome: il Clydebank Blitz.
Nella città austriaca di Wiener Neustadt
una volta si contavano 4000 edifici. Ora ne restano intatti solamente diciotto. A Budapest la
metà delle case è inabitabile. In Francia sono
stati distrutti, nel complesso, 460.000 edifici.
In Unione Sovietica sono stati completamente
annientati 1700 tra centri minori e villaggi. In
Germania le bombe hanno distrutto all’incirca
3,6 milioni di abitazioni; una casa ogni cinque.
La metà delle case di Berlino è inabitabile. In
tutta la Germania oltre diciotto milioni di persone sono senza dimora. Altri dieci milioni lo
sono in Ucraina. Tutti sono costretti a cavarsela
con un accesso limitato all’acqua e sporadico
all’elettricità.
I diritti umani non esistono, il concetto di
genocidio è sconosciuto ai più. I superstiti hanno appena cominciato a contare i propri caduti.
Molti fanno ritorno a casa senza trovarla, altri si
dirigono dovunque tranne che verso il proprio
luogo di provenienza.
Le campagne d’Europa sono state spogliate,
depredate e, in seguito al sabotaggio delle dighe, risultano a tratti allagate. Terreni coltivati,
boschi, fattorie – vita, pane e lavoro di tanti –
giacciono sotto la cenere, ricoperti di fango.
Sotto l’occupazione tedesca la Grecia ha perso un terzo delle proprie aree boschive. Più di
mille villaggi sono stati dati alle fiamme. In Jugoslavia oltre la metà del bestiame è stato ucciso
e il saccheggio di granaglie, latte e lana ha messo
in ginocchio l’economia. Gli eserciti di Stalin e
di Hitler non solo hanno seminato devastazione
dove avanzavano, hanno pure ricevuto l’ordine
di distruggere tutto ciò che trovavano sul proprio cammino in fase di ritirata. La tattica della terra bruciata prevedeva che non si lasciasse
nulla alle truppe nemiche. Per usare le parole
di Heinrich Himmler: «Nessuna persona, nessun capo di bestiame, nessun carico di cereali,
nessuna tratta ferroviaria devono essere lasciati
alle spalle […] Il nemico deve trovare un paese
totalmente bruciato e distrutto». Adesso, dopo la fine della guerra, tutti vanno in cerca di orologi da polso – c’è chi li ruba, chi
li nasconde, chi li dimentica, chi li perde. Il tempo rimane incerto. Quando sono le otto di sera
a Berlino, a Dresda sono le sette e a Brema invece le nove. Nella zona russa vige il fuso orario
russo, mentre nella propria parte di Germania
gli inglesi introducono l’ora legale. Se qualcuno
chiede l’ora, i più rispondono di non sapere che
fine abbia fatto. L’orologio, intendono. Oppure
vogliono dire il tempo?
1947 è il vertiginoso racconto di un anno in cui la politica e la grande Storia si fondono con gli eventi quotidiani. Un anno trascurato e apparentemente insignificante, in cui un vecchio ordine cade e ne sorge uno nuovo, ma soprattutto l’anno dove inizia il nostro presente.
Dove comincia il presente? Quando nascono le forze, i conflitti e le idee che governano la nostra epoca? Inseguendo le tracce della famiglia che non ha mai potuto conoscere, Elisabeth Åsbrink ci trasporta in un anno cruciale del ’900, nel momento in cui l’Occidente, reduce dal Secondo conflitto mondiale, è di fronte a una serie di bivi e possibilità ancora aperte, e compie scelte decisive per i nostri giorni. È il 1947 quando scoppia la Guerra fredda, viene istituita la CIA e Kalašnikov inventa l’arma oggi più diffusa al mondo; l’ONU riconosce lo Stato di Israele e il figlio di un orologiaio egiziano lancia il moderno jihad. È solo nel ’47 che viene redatta la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, prima sconosciuti all’umanità quanto il termine «genocidio», coniato da un giurista polacco che ha perso la famiglia nei Lager. E mentre una rete clandestina di organizzazioni internazionali mette in salvo i gerarchi del Reich e rilancia gli ideali fascisti, Primo Levi riesce a pubblicare Se questo è un uomo, un disilluso George Orwell scrive il profetico 1984 e Christian Dior crea il suo controversoNew Look. In mezzo a tutto questo, tra le masse di profughi ebrei che attraversano l’Europa in cerca di una nuova vita, c’è il padre dell’autrice, un orfano ungherese di dieci anni, davanti a una scelta che deciderà il suo futuro. In un racconto poetico e documentatissimo, che ci cala nei destini di personaggi d’eccezione e persone comuni, Åsbrink ricompone il puzzle di un anno emblematico per la sua identità personale e per quella collettiva. E scavando nei retroscena degli eventi, fino agli istanti in cui la Storia avrebbe potuto prendere un altro corso, arriva all’origine di quei nodi che non abbiamo ancora sciolto.
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