giovedì 27 novembre 2008
Un articolo di Nadia Urbinati
Come recita il sottotitolo del libro di Roger Abravanel sulla meritocrazia, questa è la ricetta per valorizzare il talento e rendere il paese più ricco e più giusto. Wikipedia definisce la meritocrazia come un sistema di governo o un´organizzazione dell´azione collettiva basato “sull´abilità “ricchezza ereditata, relazioni familiari e clientelari, nepotismo, privilegi di classe, proprietà o altri determinanti storici di potere politico e posizione sociale”. John Rawls avrebbe sottoscritto questa definizione. Tuttavia resta difficile da spiegare con precisione che cosa sia vero merito, prima di tutto perché è impossibile stabilire con rigore e certezza il dosaggio tra capacità personali e condizioni sociali. Qualche volta sembra di capire che il merito sia una qualità che la persona riconosciuta meritevole possieda naturaliter come per innata disposizione (talenti) e che con fatica e duro lavoro riesce poi a fare emergere (responsabilità). Ma nessuno sembra soffermarsi abbastanza sulla dimensione sociale del merito, sul suo dipendere profondamente dal riconoscimento sociale ovvero dalla sintonia che si stabilisce tra chi opera e chi riceve i frutti o è influenzato dall'operato.
Il giudizio rispetto al merito di una persona è relativo a un settore di lavoro, a determinati requisiti che definiscono una prestazione, all´utilità sociale delle funzioni in un determinato tempo storico, ovvero al riconoscimento pubblico. Nel merito entrano in giuoco non soltanto le qualità intrinseche e morali della persona, ma anche quella che per Adam Smith era una simpatetica corrispondenza tra i partner sociali. Per questo i teorici moderni della giustizia hanno sempre diffidato di questo criterio se usato per distribuire risorse.
Non perché non pensano che ad essere assunto in un ospedale debba essere un bravo medico, ma perché mettono in guardia dallo scambiare l´effetto con la causa: è l´eguaglianza di trattamento e di opportunità il principio che deve governare la giustizia non il merito, il quale semmai è una conseguenza di un ordine sociale giusto.
Per non essere privilegio truffaldino, il merito deve sprigionare da una società nella quale a tutti dovrebbe essere concessa un´eguale possibilità di formarsi capacità e accedere ai beni primari (diritti civili e diritti sociali essenziali) per poter partecipare alla gara della vita.
Il Presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson raccontò questa storia per far comprendere quanto necessari fossero i programmi pubblici di giustizia sociale: immaginiamo una gara di velocità tra due persone che partono dallo stesso punto, ma una delle quali parte con dei lacci alle caviglie. Si può ignorare questa differenza di capacità nel giudicare del merito del vincitore? Evidentemente no.
Perché ci sia una gara effettivamente gareggiata occorre rimuovere gli ostacoli dell´altro competitore. Ecco perché a meno che non si azzerino le relazioni sociali e non si rifondi daccapo la società civile non si può onestamente parlare del merito come della soluzione ai problemi dell´ingiustizia senza preoccuparsi di vedere con quali mezzi i concorrenti si apprestano a competere.
Parlare di merito senza intaccare i residui storici e naturali che condizionano le prestazioni individuali è a dir poco capzioso. Nella condizione in cui la nostra società si trova attualmente è davvero difficile che il riconoscimento del merito sia un fattore di imparzialità o giustizia. Ne parlava su questo giornale alcune settimane fa Adriano Sofri. L´appartenenza di classe, sempre più determinante nell´accesso a buone scuole e quindi a una buona occupazione (a un lavoro che piace non semplicemente a un lavoro necessario) rende il discorso sulla meritocrazia non proprio cristallino e la gara una gara chiusa, avvantaggiata già alla partenza o truccata.
Perché questo lungo discorso sul merito? Perché in questi giorni di sacrosanta denuncia delle aberrazioni che si annidano in molte università italiane potrebbe venir spontaneo pensare che l´unica soluzione per curare il malato di corruzione sia sottoporlo al salasso delle risorse. Per curare una università che non seleziona per merito occorre togliere i finanziamenti: questo è quanto da più parti si dice con più frequenza, portando acqua al mulino governativo in maniera più o meno diretta. Nell'età premoderna si pensava che il modo migliore per guarire un malato fosse quello di salassarlo per togliergli il sangue cattivo e si finiva per far morire il malcapitato proprio con l´intento di salvarlo. Il corpo non rinvigorisce togliendogli il cibo, ma dandogli cibo buono. Non si tratta di una terapia veloce, ma è l´unica terapia ragionevole. Non esiste una giustizia rapida, come i sognatori della meritocrazia sembrano credere. E quindi non è tagliando i finanziamenti che si può pensare di risanare l´università, il luogo dove i talenti cercano alimento. Anche perché la politica dei “meno soldi” non si traduce necessariamente in “più onestà”. Occorre invece far sì che i soldi siano meglio spesi e che siano messi in atto sistemi di controllo che controllino davvero (con anche l´uso del codice penale se necessario) e sistemi di reclutamento efficaci e non corrotti.
Ma non ci si faccia illusioni sulla celerità della cura. Perché è evidente che la questione del merito non è né neutra né di semplice procedura. Essa è prima di tutto una questione di etica ? di chi valuta e di chi è valutato, dei sistemi di valutazione e, in primo luogo, di chi li escogita e chi li fa funzionare. Non basta enunciare che occorre seguire il criterio del merito (e quale altro se no?), occorre davvero seguirlo sempre. Per esperienza devo dire che spesso anche chi esalta il merito non è poi sempre pronto a onorarlo perché la logica del sistema ha più forza di quella del merito e dell'onestà.
Non è questa la ragione per la quale è così difficile che un esterno vinca una competizione nell'accademia italiana? Se la questione del merito è una questione di eguali opportunità e di etica pubblica o di responsabilità, allora, per sconfortante che la cosa possa apparire, non consente soluzioni veloci e facili. Anche se è comprensibile che di fronte alla notizia scandalistica (ma per nulla nuova) di cattedre destinate a parenti e amanti (o ad allievi fedeli, una categoria altrettanto aberrante, eppure molto in uso) e ai finanziamenti statali elargiti a università private di ogni tipo e luogo (uno sperpero del denaro pubblico di cui si parla troppo poco), viene sacrosanta la reazione di volere azzerare tutto togliendo le risorse. Ma si può voler creare indigenza per sconfiggere il furto?
Repubblica 27.11.08
giovedì 13 novembre 2008
Franz Kafka - Il messaggio dell'imperatore
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera
giovedì 6 novembre 2008
Il discorso inedito di Silvio Berlusconi dopo la vittoria elettorale
Poco fa, questa sera ho ricevuto una telefonata estremamente cortese dall’onorevole Walter Veltroni.
L’onorevole Veltroni ha combattuto a lungo e con forza in questa campagna e si è impegnato per il Paese che ama.
Mi congratulo per il suo impegno e non vedo l'ora di lavorare con lui per rinnovare nei prossimi mesi la promessa di questa nazione.
Ci saranno battute d'arresto e false partenze. Ci saranno molti che non saranno d'accordo con ogni decisione o ogni politica che varerò da Presidente del Consiglio e già sappiamo che il governo non può risolvere ogni problema. Ma io sarò sempre onesto con voi in relazione alle sfide che dovremo affrontare. Vi darò ascolto, specialmente quando saremo in disaccordo.
E a quegli italiani il cui supporto devo ancora conquistarmi, dico: forse non ho ottenuto il vostro voto, ma sento le vostri voci, ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro presidente.
sabato 13 settembre 2008
Necropoli / Boris Pahor

B grande statista va a Londra
Quando James Landale della BBC gli ha chiesto come mai l'Italia fosse al 65mo posto nella lista stilata dalla Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo dei paesi migliori per fare investimenti, dietro Giamaica, Perú e Turchia, ha iniziato a vaneggiare sul fatto che l'Italia abbia piú impianti TV e cellulari rispetto a qualunque altro paese europeo, un alto numero di automobili, il 72% delle opere d'arte europee, 100.000 chiese, 3.500 musei, 2.500 siti archeologici ed una squadra di calcio di prestigio mondiale.
Ho preso questa notizia, tra le tante come esempio di quanto siano divisi gli italiani.
Quando ho sentito le dichiarazioni di B a Londra mi sono vergognato: sono dichiarazioni di un provincialismo imbarazzante, degne di un piazzista, di un venditore di fumo. Se il tuo paese è grande, è importante non hai bisogno di ripeterlo. Ma il piazzista ha bisogno di elencare numeri e percentuali, magari un po' gonfiati, per fare "bella figura", avrebbe potuto estrarre anche un bel campionario per illustrare quante belle cose abbiamo, noi Italiani.
Ma il punto più interessante è che di fronte a queste frasi, altri italiani (la maggior parte, credo), hanno reazioni del tutto opposte: pensano che sia giusto dire queste cose, non sentono la volgarità e il provincialismo, magari pensano che"gliele ha cantate a questi arroganti inglesi", ha difeso il nostro bel paese, in modo simpatico, ecc. ecc.
E questo esempio, vale, per innumerevoli questioni, anche più importanti: quello che per alcuni è populismo, demagogia, volgarità, provincialismo, per altri è semplicità, simpatia, vicinanza.
Ma un paese così dove può andare?
domenica 7 settembre 2008

Bohumil Hrabal
giovedì 14 agosto 2008
Il grande sertao / Joao Guimaraes Rosa

Ho rivendicato, nonostante tutto, uno dei diritti fondamentali del lettore: non finire un libro se non ti piace. Ho cercato di andare avanti, ma alla fine ho ceduto. Questo libro era stato segnalato da Magris e, conoscendo il suo stile di scrittura, mi aspettavo un racconto chiaro e scorrevole. Invece ...
martedì 29 luglio 2008
Nemico, amico, amante ... /Alice Munro
sabato 19 luglio 2008
Mani di Patrick Leigh Fermor



venerdì 11 luglio 2008
sabato 31 maggio 2008
La fortezza di Robert Hasz

Hasz Robert
La fortezza / Robert Hasz ; traduzione di Andrea Rényi. - Roma : Nottetempo, c2008. - 325 p. ; 20 cm
Incipit:
"Quel pergolato aveva qualcosa di magico che nemmeno Livius riusciva a capire; è pur vero che allora non se n'era dato pensiero. Accettava semplicemente il fatto che nel mondo ci fosse un piccolo paradiso recintato, dove si sentiva sempre bene. tutte le volte che ci ripensava però doveva ammettere che quello era il giardino meno curato di tutti. Faceva fatica a immaginare Fabrio con le cesoie in mano mentre tagliava i ramoscelli superflui degli alberi da frutto, o mentre frugava con la vanga tra i tralci di vite. Sorrideva al solo pensiero".
Naturalmente c'è una parte, o meglio un'atmosfera, che ricorda "Il deserto dei tartari", ad esempio nella descrizione della fortezza:
"Davanti a loro, a distanza ravvicinata, nella semioscurità brumosa, si delineavano i contorni sfocati di una roccaforte. Un tempo era stata sicuramente un castello medioevale, lo testimoniavano le alte mura, più spesse alla base che in cima, i resti di bastioni e la grande porta ad arcoin cui terminava la strada asfaltata in salita"
Ma è una fortezza strana nella quale si muovono soldati senza armi e senza alcuna missione apparente, in un posto dove affiorano ricordi e in un tempo sfasato rispetto al tempo reale. Alla fine il mistero e la missione della fortezza saranno rivelate ed emergerà il richiamo alla "grande storia" della Yugoslavia (la salma del Maresciallo) e della sua tragica distruzione, anche se la vicenda resta per consapevole scelta, molto sfumata. Ma emerge una certa nostalgia, nonostante tutto.
Un libro che si legge volentieri.
lunedì 28 aprile 2008
Grande e preveggente Alexis!!
Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto!
Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla.
Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere. Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo".
Da: De la démocratie en Amerique di Alexis De Tocqueville, 1840.
mercoledì 16 aprile 2008
Elezioni
Andare a votare mi è sempre piaciuto, amo la banalità della democrazia, nutro simpatia per i seggi, gli scrutatori, i tabelloni appesi, le guardie che guardano, la matita copiativa. Mi emoziono ogni volta, anche se le volte oramai sono tante. Non ho mai capito l’ignavia dei disinteressati, dei non partecipi per menefreghismo, e fatico a digerire anche la spocchia di quelli che non vanno a votare perché “non si riconoscono” in nessun partito, chissà se si riconosceranno nel re di Atlantide, negli anelli di Saturno, nella barba di Bakunin, nella loro mamma?
Temo proprio che perderò anche questa volta, d’altra parte questo paese è sempre stato un paese di destra, cattolico e di destra, gli elettori di sinistra sono abituati a perdere da generazioni, di padre in figlio, ci sono quelli che lo fanno apposta e votano l’estrema perché è bello sentirsi pochi ma buoni, ci sono quelli che invece cercano di fare mucchio (come me) ma passano gli anni e il mucchio non è quasi mai abbastanza grosso per governare. Da quando vado a votare ho vinto solo un paio di volte su venti, è una media da retrocessione. Incredibilmente ci credo ancora, mi piace ancora, specialmente se penso a tutta la brava gente che si è fatta un gran mazzo in campagna elettorale. Ho un paio di amici che rimarranno a casa, a misurare la puzza sotto il naso. Da dopodomani gli vorrò bene lo stesso, oggi no. Oggi li detesto.
da Repubblica del 13 aprile 2008
lunedì 17 marzo 2008
Bob Kennedy 18 marzo 1968
"Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jpnes, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi.
Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta."